Domenico Baranelli

Pittore

T

   

B I O G R A F I A

Domenico Baranelli nacque a Bonefro il 4 febbraio 1895, da Luigi , originario da Ferrazzano (CB), e da Luisa Lalli, mori' a Siena il 23 settembre 1987.

Partecipo' alla prima guerra mondiale del 1915 - 1918. La sua vita artistica iniziò a Napoli dove fu allievo di Vincenzo Gemito (uno dei massimi scultori italiani fra Otto e Novecento). Nel 1926, dopo avervi ordinato una mostra individuale, lascio' Napoli per stabilirsi a Milano, dove nello stesso anno inizio' la sua attiva partecipazione a quasi tutte le piu' importanti rassegne della pittura contemporanea (Mostre di gruppo, Biennali di Venezia del '36 e del '48, Quadriennale romana del 1952, ecc.).Tra le altre sue mostre personali piu' significative si ricordano le due tenute a Milano nel 1933 e nel 1947 (la prime alla Galleria del Milione, la seconda alla Galleria S.Spirito), le tre ordinate a Firenze nel 1939, nel 1941, e nel 1952 - quest'ultima a Palazzo Strozzi - e quella della Bussola di Torino nel 1956.

Sua opere si trovano nella Galleria di Arte Moderna di Firenze, nella Galleria di Arte Moderna di Milano, nel Comune di Napoli, nella sede centrale del Monte dei Paschi di Siena e in quella della Banca Commerciale di Milano, nel Palazzo Comunale di Siena, nella galleria del Comune di Ferrara, nella raccolta pubblica di grafica italiana contemporanea presso il Gabinetto di disegni e stampe dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Universita' di Pisa, nell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Si trovano inoltre in numerose raccolte private italiane e straniere. Presso l’Archivio contemporaneo A. Bonsanti del Gabinetto scientifico-letterario G.P. Vieusseux di Firenze è stato aperto un fondo cartaceo “Domenico Baranelli” (costituito soprattutto da lettere e cartoline di suoi corrispondenti, fra i quali N. Bobbio, P. Calamandrei, A. Galante Garrone, C. Sbarbaro e numerosi altri).

Fra i giudizi su Baranelli, si riporta quello che il pittore Carlo Carra' scrisse nel 1929: "Va riconosciuto a Domenico Baranelli il grande merito, fra tanti altri, di aver svincolato la nostra pittura di paesaggio dalla sudditanza straniera e rotto definitivamente alcuni schemi che da tanto tempo pesavano sull nostra tradizione"

Da: "L'Universita' della terra di Venifro" Storia e Cronaca di Bonefro di Michele Colabella

 

 

Alcuni commenti e giudizi su Baranelli
(A cura del dott. Nicola Picchione)

“Mio carissimo Baranelli,  … in questo anno di lontananza ho pensato spesso a te, forse ogni giorno. Quando, in certi periodi, nel villaggio sperduto tra i lecceti dell’ Umbria, esaminavo la possibilità di dover fuggire anche di lì e facevo nella fantasia itinerari di viaggio a piedi o in bicicletta in cerca di nuovi rifugi, una delle mete fantasticate erano le campagne senesi e la tua casa: dove ero certo che sarei stato accolto con fraterna amicizia. E poi ogni giorno, quando andavamo con Ada per una certa stradicciola di campagna a prender l’acqua a una fonte in mezzo al bosco, c’era di fronte a noi un paesaggio scarno, grigio e violetto, con un borgo appena disegnato su un colle, e dietro il cielo smorto dell’ Umbria invernale. E io dicevo a Ada: “Qui ci vorrebbe Baranelli… Proprio era un paesaggio che la natura aveva ricopiato dai tuoi quadri”
Piero Calamandrei, Lettere 1915-1956, La Nuova Italia, Firenze 1968.

            Nota- Calamandrei- oltre al noto giurista e uomo di lettere- era un intenditore di pittura. Era con altri noti personaggi amico di Baranelli. Spesso B. me ne ha parlato. Questo brano fa riferimento al periodo in cui Calamandrei era fuggito da Firenze per non essere preso dai nazifascisti e si era nascosto in un paese dell’ Umbria.

“ I colori dei paesetti, tutti di pietra e coi tetti nerastri (qualche nuovo tetto vi mette qua e là una nota squillante di rosso), sono magri, appena accennati sul disegno, come nei quadri di Baranelli: anche i monti, e questa ondulazione di pianure e il cielo limpido senza scintillii mi fanno venire in mente il modo di dipingere di lui: questa economia di tinte, tenui e discrete, appena segnate col pennello quasi asciutto sulle granulosità sporgenti della tela, che resta sul fondo grezza e scolorita”
(P. Calamandrei, Diario 1939-1945, La Nuova Italia Ed.)

         Questo brano di C. dà l’idea della pittura di B. ed anche del suo carattere.

“…nella bellissima cornice del Palazzo Pubblico di Siena, ove è avvenuta l’esposizione, mi sono reso conto come Baranelli riesca ad esprimere il meglio di sé nella grafica… Quella concisione che evita la sia pur minima sbavatura sentimentale, quella ricerca sin troppo puntigliosa di quintessenza, restano sempre alla base di ogni produzione dell’artista sia che egli dipinga in rapidi tocchi, in magre stesure, sia che getti giù sul foglio pochi segni volanti eppure fermissimi. Trovo però che nel mezzo più immediato e diretto, il tratto del lapis, la sgranatura del carboncino, si scopre nel modo più chiaro il linguaggio di Baranelli che non soltanto affonda le sue radici nei fatti e negli antefatti veramente più significativi dell’arte moderna ma risale ancora più indietro, ripercorre tutta la lunga trafila, una tradizione classica fortemente amata,conosciuta a fondo, e poi macerata, rinverdita nella quotidiana esperienza…. Egli si è in un certo modo dichiarato quando ha posto a capo della rassegna un disegno a matita, la Madre, ed ha persino fatto riferimento alla data, 1923…. Devo confessare che questa testina disegnata con una certa asprezza sopra un telaio scandito in spazi ariosi, mi ha aperto meglio gli occhi sul più intimo segreto congegno della fantasia di Baranelli. Per un attimo ho rivisto là dentro una maschera arcaica dagli zigomi alti dagli ampi piani facciali. Ed ho capito come la sensibilità di Baranelli possa sbrigliarsi sopra una delicatissima, fragilissima, squisitissima tastiera, senza però rinunciare a certi ritmi interni all’immagine, a certe proporzioni, insomma a una metrica remota nel tempo, una classicità arcana e pur attuale.
(Piero Scarpellini, Il Ponte 31gennaio 1976).

Baranelli con pochi atri artisti d’oggi rappresenta il meglio della nostra pittura.
(Luigi Bartolini)

Le sue figure, i suoi paesaggi respirano così un silenzio d’attesa, sembrano una conquista dura, ombre che salgono alla memoria da una furia che ha minacciato di travolgerle o cancellarle. E’ qui il segno morale della pittura di Baranelli, che non sembra inventata ma posseduta dopo lungo affanno di ricerca, trovata dopo lunga pena di indagine… Nei disegni una trama esile come un graffito della memoria si decifra a poco a poco fino alla scoperta attonita di un’armonia nascosta..
Roberto Barzanti, Aprile 1975.

 

Baranelli è un pittore la cui opera non può certo considerarsi un frutto di nostalgie fuori stagione, in quanto si presenta gravemente indicativa   e sintomatica dei travagli che la pittura moderna  è andata traversando in questi decenni. Si dice che B. abbia iniziato con una pittura intensamente sensuale, corposa, ispirata agli esempi di questa tradizione napoletana a cavallo dei due secoli che l’artista, per ragioni d’ambiente e di destino, si trovò prossima nell’età giovanile: ma ben pochi, a quanto credo, tengono presenti esemplari di quel suo inizio… Egli ha continuato in una progressiva contrazione e rarefazione, nel perseguimento di una essenzialità sempre più sobria e allusiva…. Un mondo rarefatto, tracciato con pochi segni ai limiti dell’inesistente,dove una figura di fanciulla, sull’aridità di un fondo legnoso, insinua la calma di un profilo domestico, in una coi sobri toni di un giubbetto e d’un cappello… Quello stile che, nella sommersione dei valori tradizionali, in un mondo di segni resosi sterminatamente caotico, rappresenta la superstite estrema- e rara- garanzia dell’autenticità di un artista.
Sergio Solmi. Baranelli Sansoni Ed. 1966.

 

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            Da questi brevi riferimenti da parte di importanti personaggi della cultura italiana si può avere un’idea dell’arte di Baranelli. Quando parlavo con lui di arte,  faceva  riferimento al dantesco (amava molto e citava spesso Dante)  pane degli angeli: cibo riservato a chi sa leggere in profondità, a chi sa leggere la pittura non solo come pura e passiva rappresentazione.
           Un giorno gli chiesi che cosa fosse l’arte per lui. Mi rispose: “Cerco di esprimermi con un esempio. Un giorno stavo dipingendo in un paesino. Dietro a me si fermarono alcuni ad osservare. Uno disse: “ Ma guarda, sono venti anni che passo qui davanti alla casa di Flavio e non mi ero reso conto che era così bella”.  Ecco: avevo mostrato che cosa era bello a chi non lo aveva visto”.
            Da alcuni dei brani riferiti emerge lo stile di Baranelli che negli anni diventò sempre più scarno, sempre più essenziale, fatto anche di materia povera: un foglio, pastelli. Perciò non facile da amare da parte di chi preferisce la pittura carnosa e sontuosa. Baranelli aveva un carattere chiuso e rifuggiva l’ ostentazione ( in questo era rimasto molto bonefrano). In un mondo che affida anche l’arte alla commercializzazione e alla pubblicità, commise l’errore di rifiutare questi metodi. Un gallerista che apprezzava le sue opere gli aveva offerto molte possibilità a patto che gli consegnasse un minimo di quadri al mese. Egli commentò risentito: “Non sono mica una puttana. Io dipingo quando voglio non quando me lo comandano”. Mi parlava di tanti pittori che dovevano il successo ad una interessata pubblicità da parte di galleristi e collezionisti.
Aggiungo che era molto geloso del suo lavoro. Preferiva appartarsi quando lavorava. Nessuno ( né i figli né il nipote che pure amava né io che pure frequentavo la sua casa, lo accompagnavo spesso nei viaggi e discutevo con lui di arte o di altro) vide mai la sua stanza dove lavorava e dove custodiva le sue opere. Quando me le voleva mostrare, andava a prenderle e me le portava nella sala.

            Ho cercato di evitare di riprodurre alcuni suoi disegni ritenendoli poco apprezzabili da parte del gran pubblico: sono scarni, ridotti all’essenziale anche se molto espressivi. Quelli donati alla sede centrale della Società dantesca fanno parte di una serie eseguita durante la guerra e mostrano le zone bombardate di Firenze. Carboncini essenziali, drammatici: un dolore senza lacrime. Questo gusto per l’essenzialità si manifestava anche per altri aspetti. Ad esempio voleva che le cornici dei suoi quadri fossero dei semplici, esili listelli di legno.
            Il ritratto della madre, pure a carboncino, è analizzato in poche righe in uno dei passi riportati: aiuta a dare un’idea della sua arte, già matura agli inizi.

            La sua vita artistica iniziò a Napoli dove fu allievo di Vincenzo Gemito ( uno dei massimi scultori italiani dell’800). Mi raccontò che cominciò ad avere molto successo dopo alcune mostre. Un altro ne avrebbe gioito e approfittato per vendere. Egli invece se ne spaventò: temette di rimanere a un genere di pittura che riteneva sorpassato. Voleva crescere artisticamente. Fuggì da Napoli (mi disse proprio così). Andò a Venezia dove ricominciò daccapo facendo anche la fame. Scappò anche da Venezia quando di lui si innamorò la figlia del console belga che lo voleva sposare. Andò a Milano e poi finalmente a Siena che egli considerò la terra  vicina al suo spirito. Adorava i grandi pittori senesi del trecento.

            Tra le cose che amava c’era il pane di Bonefro. Quando glielo portavo, mi diceva: “Dietro questo pane ci sono millenni di civiltà”. Del suo tempo passato a Bonefro non parlava spesso ma ricordava persone e fatti. A volte correggeva qualche mio errore quando gli parlavo di quelle persone. Avrebbe desiderato donare un quadro al Comune di Bonefro. Mi chiese più volte di fare qualche foto del paese e dei suoi luoghi per trarne ispirazione per quel quadro che non fece in tempo a realizzare.

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DOMENICO BARANELLI

                             

(Ricordi di Domenico D'Onofrio)

 

Ho conosciuto il prof.Baranelli nel 1952 a Campobasso durante una sua visita estiva al fratello (zi Peppino e fam.) e da allora ci siamo fraquentati saltuariamente fino a quando mi sono trasferito a Milano per ragioni di lavoro,città nella quale spesso lui si recava per mostre e per visite ai suoi amici di cui mi onoravo  farne parte anch'io.

In particolare gli sono stato vicino in occasione della mostra tenuta alla famosa Galleria "Vinciana" di Milano e successivamente a quella tenuta alla Galleria "Casa Giacobbe" di Magenta.

Le nostre frequentazioni si sono ulteriormente intensificate allorquando io e mia moglie ci siamo trasferiti a Firenze.

Nel corso dei numerosi incontri ho avuto modo di conoscere e valutare la profondità e la vastità della sua cultura che,oltre a quella artistica,spaziava nel mondo storico,filosofico e letterario dimostrando una conoscenza senza limiti su tutte le problematiche sociali e politiche del nostro tempo.

E' superfluo ricordare che i contatti con il prof. Baranelli erano per me motivo di grande interesse per l'emozione e la gioia che mi procuravano soprattutto per la intensa spiritualità del suo pensiero ed i suoi infallibili giudizi, a volte anche caustici ,nella valutazione di fatti e personaggi.

Nonostante il suo carattere schivo,deciso e determinato e la notevole differenza di età,mi ha sempre confortato la sua disponibilità al dialogo franco,paterno e sincero da cui ho tratto arricchimento non solo culturale ma anche formativo.

Purtroppo la mia scarsa cultura dell'arte pittorica non mi ha consentito di esprimere appropriati giudizi sulla sua attività artistica.

Dico solo che le poche sue opere in mio possesso mi danno un senso di pace per il silenzio armonioso che emanano la morbidezza dei suoi colori e la delicatezza dei suoi paesaggi discreti e scarni come amava definirli il noto giurista Piero Clamandrei." 

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Mio zio DOMENICO BARANELLI

Cosi lo ricorda il nipote Luigino

 

Sin da ragazzo il mio papà mi parlava di suo fratello (Mincuccio) che lasciò Bonefro giovanissimo per approdare inizialmente a Napoli, dove ebbe modo di conoscere importanti personaggi  rappresentativi del mondo della scultura e della pittura contemporanea che lo valorizzarono senza alcun indugio avendone apprezzato  il suo talento e le sue innate qualità artistiche.

L'interesse per la cultura e per l'arte lo tennero quasi sempre  lontano dalla famiglia. Partecipò, insieme al fratello, all'immane tragedia del 1° conflitto mondiale che costò la vita a tanti ragazzi e mutilazioni gravi che condizionarono irrimediabilmente  la vita di altrettanti giovani e tra loro anche il mio papà .

Raramente veniva a Campobasso per visitare suo fratello (già grande invalido),  al quale si sentiva molto legato anche se caratterialmente non gli somigliava affatto. 

Tant'è che durante le brevi puntatine da noi,dopo i rituali abbracci e saluti al suo arrivo, preferiva sempre rimanere con se stesso nel chiuso della sua stanza onde evitare il fastidioso (per lui) chiacchiericcio paesano delle persone amiche di famiglia che abitualmente frequentavano casa nostra e con le quali il mio papà amava intrattenersi piacevolmente.

Il chè generava spesso in famiglia  situazioni molto imbarazzanti ,a volte con risvolti anche comici, in quanto il mio papà era costretto a dissimulare , con abilità e destrezza,  la incompatibilità di mondi diversi non comunicanti tra loro.

Nell'immediato dopo guerra, non avendo più saputo nulla nè di lui ne della sua famiglia , io ancora adolescente, fui spedito dal mio papà a Siena  per avere notizie certe e rassicuranti. Fu in quella occasione che conobbi i miei cugini e la zia Vittoria, nobildonna senese di  grande signorilità , cultura e raffinatezza , di straordinaria bontà e dolcezza con uno spiccato senso dello humour che rendevano piacevoli  le sue amabili conversazioni eleganti e spesso divertenti.

Da allora incominciai a frequentarli spesso  a Vallenova ,una splendida tenuta nel cuore del Chianti senese che la zia possedeva insieme ad altri poderi.

Furono gli anni che mi fecero amare Siena e la Toscana in genere,  sino a designarla come mio punto d'arrivo come del resto avvenne nel gennaio del 1968 , data del mio trasferimento a Firenze.

Con la mia nuova sistemazione i rapporti con mio zio si intensificarono e da allora incominciai a rendermi conto della vastita della sua cultura umanistica,letteraria , filosofica e storica che non di rado metteva in imbarazzo molti suoi sprovveduti interlocutori pseudo-intellettuali.

Come tutti gli artisti veri intendeva la pittura come pura espressione poetica dello spirito e quindi creatività emotive non negoziabili.

Per comprensibili ragioni questa sua concezione dell'arte lo tenne lontano dai grandi circuiti commerciali del settore dove tanti suoi colleghi più furbi e pratici  hanno tratto considerevoli benefici economici vendendo tele prive di apprezzabili significati. 

Lui,al contrario, non amava il facile guadagno inevitabilmente legato a compromessi. Il danaro non lo interessava più di tanto, anche se costituiva uno strumento essenziale di sopravvivenza.Era orgoglioso di considerarsi una voce fuori dal coro con il suo stile pittorico unico ed inconfondibile, per la sua straordinaria capacità di sintesi nella rappresentazione di paesaggi e nature morte , per la delicatezza dei colori e dei tratti appena accennati.

Ciò apparteneva al suo modo di essere,completamente avulso dalla dura realtà quotidiana che, purtroppo, impone regole diverse per sbarcare il lunario.

Giudicava gli uomini per quello che erano e non per i loro titoli accademici. 

Al riguardo un giorno mi disse : " Ho conosciuto contadini fior di signori,uomini veri e molto intelligenti in grado di impartire lezioni di vita a tanti altri individui laureati cafoni, stupidi ed ignoranti.".

Aveva una capacità straordinaria di valutare una persona dopo poche battute; nel giudicarla era sempre infallibile ed a volte anche impietoso.

Preferiva non parlare  di arte se non con le persone giuste, preparate e competenti; ed io, non ritenendomi tale, evitavo sempre di affrontare l'argomento.

Tuttavia mi sento fortunato,nonostante la sua reticenza a cedere i suoi lavori,per aver avuto  da lui stesso due capolavori che amava definire "il centro del mio cuore" realizzati all'inizio degli anni venti.Sono due ritratti dei suoi anziani genitori splendidamente eseguiti in acquerello che rappresentano le uniche vere gemme alle quali mi sento particolarmente legato .

Il mio compianto amico e collega Edo Cecconi , pisano,  uomo dotato di straordinaria intelligenza e cultura, oltre che di elevata sensibilità e senso critico, ebbe modo di conoscerlo nel corso di un nostro incontro di lavoro nel mio ufficio dove, peraltro, lo zio, già molto avanti negli anni, si recava spesso per venire a trovarmi.
Tra i due nacque subito un rapporto di ammirazione e stima reciproca  che più tardi divenne anche amicizia sincera e cordiale.
Così mi scriveva Edo, in una sua lettera  ricordando lo zio scomparso qualche anno prima:
<<  Capii il suo illuminismo, la sua fede nella ragione, il suo spirito critico a volte caustico fino al paradosso, la sua lotta ai pregiudizi, ai luoghi comuni e alle idee ricevute, la sua ricerca sempre vigile della verità, il suo amore per la cultura e per i libri, la sua arte e la sua poesia >>
Ed ancora:
<<  Importante è continuare a pensare,ma sono ancora troppi coloro che dovranno di nuovo imparare a pensare.Quando il pensiero avrà riacquistato la sua dimensione anche Domenico Baranelli avrà il posto che merita. Il valore dell’arte non ha scadenza. >>

Per ricordare mio zio non basterebbero fiumi di parole, per cui  preferisco non dilungarmi ancora anche perchè sono certo che il personaggio sarà tratteggiato  da altri amici comuni con giudizi più obiettivi, scevri da legami affettivi che sicuramente avranno coinvolto me nella rappresentazione del personaggio.

Luigi Baranelli

"Il giorno 11 agoso 2011, Il Comune di Bonefro ha celebrato l'illustre pittore Domenico Baranelli dedicandogli l'Auditorium sorto dalle vestigia della Chiesa dell'antico convento.
E' stata una scelta quanto mai appropriata ed opportuna, la decisione della giunta comunale, di immortalare la memoria di un grande artista bonefrano tra le mura di un luogo prestigioso destinato ad incontri e ad eventi di carattere culturale. Al riguardo, il sindaco dott. Giuseppe Montagano, nel suo discorso celebrativo ,ha voluto ribadire la necessità di onorare la memoria di un pittore cha ha lasciato un segno indelebile nel mondo dell'arte con opere custodite nelle sedi più prestigiose e rappresentative dell'arte moderna e contemporanea esistenti in Italia. Grazie alla consapevolezza ed alla maturità di una giunta giovane e moderna, capace di guardare al futuro con ambizioni di crescita civile e culturale propugnata con slancio encomiabile dall'assessore alla cultura dott.ssa Claudia Lalli, la comunità bonefrana potrà finalmente guardare con orgoglio il nome di Domenico Baranelli, immortalato tra le mura dell'Auditorium a futura memoria dei cittadini e dei visitatori.
Per mantenere vivo il ricordo dell'illustre pittore bonefrano, presso il palazzo B.Mauceri è stata allestita una mostra permanente di opere dell'artista ,donate al Comune di Bonefro dai figli Luca,Giovanna e Luisa Baranelli , dal nipote Luigi Baranelli e dal Prof.D'Onofrio.
Sono intervenuti come relatori della cerimonia il dott. Nicola Picchione e Luigi Baranelli.,

Dr.N.Picchione-Sind.dr.Montagano- geom. L.Baranelli

 

Geom.Luigi Baranelli nipote del maestro Baranelli

Targa ricordo al maestro Domenico Baranelli

Alcune opere di Baranelli

Ritratto della moglie Vittoria

 

 

 

 

Fiume Lambro 1930

 

 

 

 

Natura morta 1930

 

 

 

 

 

Londra 1973

 

 

 

 

 

Luisa

 

 

 

 

 

 

 

Ritratto di bambina

 

 

 

 

 

 

Santuario presso Padova 1931

 

 

 

 

 

 

Boulevard St Michel

 

 

Recanati

 

 

Luigi Baranelli - il padre - acquerello

 

 

 

 

 

 

Luisa Lalli - la madre - acquerello

 

 

 

 

Natura morta

 

 

 

 

 

Entroterra Versiliese

 

 

 

 

Fiori - pastello

 

 

 

 

 

La madre Luisa

Ritratto a penna ed inchiostro

 

 

 

 

Pietrasanta

 

Marina di Pietrasanta

Duomo di Pietrasanta