UN POETA UNO SCRITTORE  
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Nota di apertura del Poeta ADAM VACCARO . La Piuma e l'Artiglio - poesie (1978-2005) e' un libro antologico con poesie scelte dai cinque libri precedenti (La vita nonostante, Strappi e frazioni, La casa sospesa, Spazi e tempi del fare, Labirinti e capricci della passione) piu' alcune inedite, e raggruppate in quattro sezioni (vedi indice). E' un percorso articolato tra i due versanti della vita dell'Autore: infanzia e periodi giovanili vissuti a Bonefro, e l'eta' adulta vissuta a Milano. Qui sono tratte, ovviamente e in relazione ai caratteri e alle finalita' di questo Sito, solo le poesie nate da memorie ed esperienze bonefrane, escludendo libri e testi nati sul versante metropolitano. Gli interessati possono fare richiesta alla gestione di questo Sito o allAutore, come agli Editori o, infine, rintracciarne parti su molti altri Siti (a cominciate da www.milanocosa.it )
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LA PIUMA E L'ARTIGLIO

adam vaccaro

 
  

poesie (1978-2005)
con introduzione di Dante Maffìa

 luoghi

  1. radici sommerse  
  2. il giardino devastato

 trame

  1. spazi e tempi del fare
  2.  paradisi emersi

 

Introduzione di Dante Maffìa 

Di Adam Vaccaro conoscevo il suo desiderio di verità, la sua voce limpida e rigorosa, la sua fede nella poesia. Poco, ma appena ho finito di leggere questa sua antologia poetica mi è parso di aver vissuto con lui per secoli, di aver trascorso al suo fianco momenti comuni, esperienze esaltanti.
La genesi della sua poesia è da rintracciare in quella società rurale, contadina che fino alla fine degli anni sessanta mostrava la sua identità forte e che poi a un tratto è stata cancellata in malo modo. Chi però l’ha vissuta o sfiorata sa quanta umanità vi circolava a tutti i livelli. La coralità era un segno distintivo, i valori  tradizionali ancora avevano un senso.
Questa umanità sta al fondo espressivo di Adam Vaccaro, è un serbatoio che illumina i percorsi con riverberi assai interessanti, e non diventa mai rimpianto o nostalgia, mai misura a cui rapportarsi per un ripiegamento, anche quando sceglie di esprimersi con la lingua della madre, quel molisano così musicale  e accattivante che ha alle spalle una discreta tradizione anche poetica.
Adam ha saputo sciogliere i nodi del suo mondo interiore senza crogiolarsi in tormentate elegie, anzi ridando connotazioni nuove a una realtà che comunque si portava addosso. Le sue incursioni in dialetto (non dialettali!, come avvisa Pancrazi quando si tratta di poeti autentici) sono motivate dalla necessità di sciogliere nodi antichi che hanno il sapore di piccolo salvadanaio mitologico, di sogni in cui le radici sono fari che illuminano la realtà senza decomporla.
E credo non sia casuale che questo volume si apra con un testo come Presente passato, del 1976, in cui il poeta si trascina “… dietro tante cose/ povere cose/ orgogliose/ inaridite e dense di vita/ facce e cose/ onde sonore profumi” che sogna “…sempre/ di lasciare per sempre” e poi ritrova “in un angolo inventato/ di pensieri e ricordi/ di ombre col loro/ presente passato”.
Non è casuale nemmeno che la poesia successiva, Sacrario quieto, venga scelta tra quelle che il poeta ha scritto nel 1970. Vaccaro fa sentire a forti note il legame con la sua terra, ammette un amore mai spento e promette di tornare. Ma dentro c’è come un presentimento di distacco irreversibile, di mutamento del proprio essere che si scontra con altre realtà in un impatto violento.
Ho cercato di percepire il sottile volgersi degli eventi che appaiono e dispaiono nel volgersi degli anni. Vaccaro sa mettersi in discussione e si sente soprattutto nel linguaggio che da pacato e quasi rotondo agli inizi diventa via via sincopato, con passaggi repentini di ritmo, di musica e con invenzioni che scardinano le consuete strutture della sintassi mentale.
Se il lettore non seguisse le pagine nella loro scansione e dalle prime passasse alle ultime, avrebbe la sensazione di trovarsi in due mondi diversi, perfino contrastanti. Se invece va avanti seguendo le scelte del poeta si accorge che ci troviamo dinanzi a un percorso organizzato come una sorta di romanzo che si apre a spirale verso la conquista di una essenzialità di immagini, di metafore, di emozioni.
In questo modo il percorso individuale si dilata in percorso universale permettendo ad Adam di esprimersi in pienezza, con esiti che mi sembrano ragguardevoli, soprattutto quando egli sa coniugare la stringatezza con la visionarietà, con la “saggezza”, con le accensioni  che lievitano il dettato e lo rendono pastoso e accattivante, anche quando si viene portati in scomodi raffronti, in radure imprevedibili.
La poesia di Vaccaro ha dalla sua una lievitazione che sa dare alle parole un sovrappiù di  significato. Non ci sono giochi gratuiti: la posta in gioco è alta, si tratta di scendere negli abissi dell’essere per trarne indicazioni che possano  dare una svolta.
Nella prima parte del volume sono evidenti i risvolti antropologici di una civiltà che ha perduto fulgore con una fretta impensabile che l’ha catapultata direttamente nel postmoderno senza farla transitare per il  moderno. Perciò i risvolti antropologici sono soltanto il sale che condisce le partiture altrimenti proiettate verso soluzioni poetiche lontane, per esempio, da quelle di Rocco Scotellaro, di Vittorio Bodini, di Vittorio Clemente. In Vaccaro c’è l’intelligenza del cuore che sovrasta le accensioni meramente sociologiche e di conseguenza la sua poesia ha scintille che scoppiettano rivelando aspetti non solo dolorosi del mondo, ma anche felicità e gioie consumate nella dignità più assoluta.
“Ah, verità verità che hai sempre/ così paura di mostrarti e vivi rintanata/ come fossi una ladra”, scrive Vaccaro ne La lingua tra i denti, confessando che è estremamente difficile portare al sole ciò che sta nascosto nelle pieghe degli esseri. Ma non demorde e per sgominare l’omertà del silenzio egli si affida a moduli che mettono in disparte l’adesione al reale. È così che nasce quella che mi viene da chiamare la seconda fase della poesia di Vaccaro, e cioè quella con connotazioni espressionistiche che non di rado sfociano nel surreale.
Poesie come Sapor di sapone, Lei, (in vento, rosso, icone e guglie nel tempo, I tempi dell’Orsa, per fare soltanto qualche esempio, sono il segno evidente di un Vaccaro che dalle suonate di fisarmonica e di violino passa a orchestrare musica da camera o musica jazz. Senza tradire se stesso e senza entrare nei vortici di uno sperimentalismo fine a se stesso. La poesia di Vaccaro conserva, anche in queste fasi, un sapore autentico e una tensione alta. Ogni suo verso è scintilla che nasce da un fuoco che brucia, ogni parola è suono e senso che non si divaricano in mulinelli effimeri. Adam Vaccaro ha una interiorità profonda e ricca e La piuma e l’artiglio lo mostra con evidenza. L’ossimoro del titolo è un anticipo del mondo che viene offerto, un mondo che si muove circolarmente, ma che sa entrare e uscire dal disagio esistenziale e letterario per farsi ragione di una proposta nuova.
E’ raro oggi trovare una poesia che abbia tanta “verità tecnica” e tanta “verità di senso”, come diceva Raboni. Per lo più i manufatti che circolano non hanno forza e non obbediscono a criteri di serietà compositiva oltre che estetica. Adam Vaccaro invece sa quel che fa, è consapevole delle sue qualità e conosce la dovizia del suo animo. Ecco perché è riuscito a darci un libro intenso e coraggioso, molto umano e molto sincero, attuale e vivo, con un sapore di antico che la dice lunga sulla formazione e sulle scelte di questo poeta veramente da tenere in seria considerazione.

Settembre 2005

Dante Maffìa

 

  

Premessa dell’Autore

  
Il progetto di questo libro ha costituito per me una occasione importante di ripensamento di tutto il mio percorso espressivo, in un arco di più di trent’anni. La definizione della sua struttura e la scelta dei testi, e infine il titolo, sono stati momenti intensi di riflessione autocritica sia sui singoli testi (soprattutto se nati  decenni prima), sia sulle costanti e varianti che hanno condotto dall’abbrivo alle tappe successive.
Nel mio caso si è trattato di un percorso di ricerca, che – pur nella necessità di salti e variazioni anche violente – ha perseguito sempre, attraverso la scrittura, un incontro congiunto con le molteplicità interne ed esterne. Il fascino della poesia nasce per me dalla capacità di dire e far sentire la complessità e totalità della vita, centro colpito a occhi chiusi quanto più agisce il cristallo della mente totale (in rozza sintesi: testa, cuore, pancia), che riesce a farsi voce di un numero immenso (Whitman). È ciò che chiamo adiacenza: emozioni e ragioni etiche, memorie e occhi dilatati su di sé e il mondo, di cui il testo poetico si fa spazio e momento di unità meno alienata del soggetto, in una forma di canto.
Ma il canto unitario cercato è stato via via spinto a misurarsi con fratture impietose, generate dai cambiamenti epocali degli ultimi decenni, che hanno attraversato la Storia e l’esperienza singola. Da tali referenti, e non da sperimentalismi chiusi in un laboratorio appartato, sono nate esigenze di sviluppi polifonici e spaziali: cambi di ritmi che dovevano trovare rispondenze in spostamenti e blocchi nella tela dello spazio-pagina, quali immagini e nervature della tensione all’incontro-scontro col mondo.
Tra gli anni ‘60, ‘70 e ‘80 ho acquisito per sempre, attraverso le forme sia delle Avanguardie storiche che della Neoavanguardia, la coscienza preziosa di diverse cose. In primo luogo, del valore di ogni elemento, anche minimo o collaterale, del significante – spaziature, titolazione, maiuscole/minuscole, punteggiatura, note, date ecc. – per il dispiegamento della molteplicità di sensi del testo; in secondo luogo, l’affrancamento da ogni scelta a-priori tra forma chiusa e aperta: possono venire dall’una o dall’altra banalità informi, giochi di parole intimistiche, spirituali o minimali, incapaci di soddisfare il disperato bisogno, generale e non elitario, di recupero di realtà e senso. La libertà creativa moderna (e di sempre) si misura con tale capacità.
Tra le eredità negative dell’esperienza complessiva della Neoavanguardia ci sono invece forme di totalizzazione e ideologia del testo, di deliri di onnipotenza creativa e di convinzioni che il referente sia ininfluente nel processo di costruzione testuale. Il circuito auspicabile che fa di quest’ultimo un ponte o un anello (inter)medium rischia di venire azzerato, insieme al valore del pre e del post – creativo e fruitivo – del fare poetico. Tende così a essere legittimato l’attuale distacco e perdita di funzione sociale della poesia.  
Ho cercato tra gli Scilla e Cariddi di derive intimistiche o ideologiche una terza riva, in cui collocare una mia voce riconoscibile. La stella polare che mi ha guidato è stata la stessa dei poeti per me più grandi: la ricerca di una lingua fatta di tante lingue (quale quella di Dante), con una parola materiale e lirica (Leopardi), che proprio perché si misura con ogni crudeltà e orrore, non smette di inseguire la capacità di incarnare momenti di gioia e piacere di essere qui. Non sta a me dire quanto possa aver avvicinato il centro inseguito. Posso solo dire che, grazie anche al lavoro di selezione fatto per questo libro (testi tratti da sette pubblicazioni, tre raccolte e quattro libri d’arte, più un gruppo da una raccolta inedita), mi sembra di cogliere tra i primi e ultimi testi la resistenza di una stessa musica. Che, anche nei tratti più accidentati e polifonici della sua spirale, tenta continuamente di chiudere il cerchio di un’unità (im)possibile e franta. Posso rilevare anche che in tale tensione sono emerse sempre più due polarità fondamentali e per me interconnesse, la sacralità della vita e l’eros, ugualmente misconosciute e ferite dal mondo contemporaneo.
La piuma e l’artiglio tendono a richiamare e a ricomporre, nella ricca polisemia delle loro immagini, sia tali polarità sia archetipi della sessualità femminile e maschile: ognuna di esse evoca e trasmette sensi di una unità capace di levità e fermezza, sensualità morbida e aggressiva, aperture del cielo e limiti della terra ecc…complessità interiore ed esterna, con cui dobbiamo fare i conti con tutta la molteplicità di lingue e sensi, intelligenza e amore, di cui siamo capaci. La piuma è anche penna, scrittura e fondina di una spada che può essere più dura di un artiglio – più facilmente immagine di potere. Non sono però da intendere come polarità contrapposte di bene e male. Gli artigli richiamano falchi o aquile, immagini archetipiche di ardimento e coraggio, imprescindibili da un atteggiamento sano e attivo verso la vita e la realtà; tanto che gli artigli erano ”ritenuti i bagliori del sole” (A. Kallir, Segno e disegno, psicogenesi dell’alfabeto, Spirali/Vel, Milano 1994). La ricchezza umana di ogni persona è data dalla compresenza di entrambi gli “spiriti (dolce e aspro)”, femminile e maschile, dell’universo antropologico e no. È ciò che fonda la possibilità di un soggetto di scrivere e leggere l’universo tutto; e fa della scrittura, in particolare della poesia più resistente, un mare androgino – luogo di “esperienza della totalità della vita”. 

Adam Vaccaro