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Radici bonefrane della poesia di Adam Vaccaro

Nelle tre principali raccolte di poesie di Adam Vaccaro1 appare evidente quel cordone ombelicale difficile da recidere per chi si allontana dal luogo di origine: sono numerosi i richiami espliciti al paese dove è nato e ha vissuto i primi anni. Bonefro è nel basso Molise, povero di risorse, abitato da gente che aveva forte personalità, diversa da quella dei paesi vicini: più chiusa, più pessimista, più razionale, più critica, con senso esasperato della dignità, meno capace di iniziative commerciali. L’intensa emigrazione degli anni ’50 e ’60 lo ha quasi svuotato.
Adam ha evitato i pericoli che incombono sui poeti che si richiamano alla terra d’origine: il bozzettismo e il sentimentalismo. Una prima dichiarazione del legame con la terra di origine appare in Sacrario quieto del ’70 (in R1): Terra mia pietre morte/ devo tornare in mezzo a voi/ per sentire tutto l’amore/ che non vi ho mai dato/ per sentire la mia carne/ così fatta di voi. Quelle pietre morte riescono a suscitare sentimenti e si fanno lievito vitale. In “Presente passato” del ‘76 (in R1) è confessata la dicotomia tra la voglia di ricordare e quella di dimenticare: “E mi trascino dietro tante cose/ povere cose/ orgogliose/ inaridite e dense di vita/ facce e case/ onde sonore profumi/ che sogno sempre/ di lasciare sempre/ e poi ritrovo…”. Non si possono scacciare i ricordi che, anzi, partono da lontano:Guardavamo scannare i maiali/ con allegra tranquilla innocenza/ lanciavamo stecche appuntite di ombrelli/ contro civette crocifisse alle porte/ e arrostivamo feroci zoccole finite/ disperate in gabbie (Da “feroci innocenze e oltre” in R3).
Chi ha vissuto quegli anni ’50 in quel paese rivive scene talora crudeli di ragazzi che giocano anche torturando animali (si può meditare sul nostro recente passato quando si guarda con disprezzo “gli altri” che arrivano da noi) ma che – almeno alcuni di loro – già (di)versi cantando/ m’illumino d’immenso” volgevano la loro attenzione lontano da quelle strade polverose e da quelle case povere e affollate. In quell’ambiente nacquero i primi germi di formazione che hanno premesso e permesso la successiva crescita: E nessuno può dire se fu quel piede fondato nella terra e/ nel letame che diede una spinta a sogni d’assalto al cielo. Il ricordo può iniziare da squarci visivi ma subito si anima di persone e di sentimenti (In R3, La casa sommersa): Ricordo cieli blu ricordo cieli viola/ ricordo cieli grigi-sfumature capaci/ di fomentare pensieri - potenti pensieri”, (La terra); “Dunque tu mi dici che il mondo non finisce qui/ che questo è solo un confine/ e non una fine”, (Il confine). La visione di “Frotte di biciclette nel sole annegate/ imbiancate tra polvere e sassi “ non è solo la rappresentazione viva e palpitante di quel mondo di ragazzi del Sud ma la rievocazione dei loro pensieri e dei loro desideri.
 Se queste sono le radici bonefrane palesi, altre più sommerse e profonde sono rintracciabili nella sostanza poetica  e nella visione del mondo che emerge nelle tre raccolte. “Le bugie del mago”  può essere presa a paradigma della complessità di tali radici. È descritto il paesaggio dei dintorni di Bonefro di bellezza umile ma straordinaria; e sono rievocate antiche storie e miti locali. L’atmosfera sognante di un chiaro freddo giorno dicembrino con un silenzio appena interrotto dal canto ipnotizzante di una fontanella: quasi un invito a lasciarsi andare a sovrumani silenzi e naufragar in questo mare. Ma le radici bonefrane rompono l’incanto: il sogno è interrotto dalla ragione (l’interazione sogno-ragione era ritenuta la chiave della poesia dai teorici matematici del 700). La visione genera una sorta di diffidenza come per quel sole invernale luminoso e freddo che è “mago dei maghi”, “così bugiardo che assottiglia il cuore”, lui origine della vita che splende ma già fugge nel buio della notte. Poesia sospesa tra realtà e sogno, tra favola e consapevolezza dell’inganno delle favole; sonata dove la luminosità della tonalità maggiore è intercalata dalla lucidità fredda della tonalità in minore. Il senso di realismo affiora anche quando Adam ricorda i genitori; l’affetto è frenato da riflessioni sulla difficoltà del vivere. La madre che crivellava loglio e veccia nera è la figura – pur evocata con dolcezza nel suo lavoro domestico – che col suo gesto gli indica un’etica aspra ma d’amore (Crivelli e fratelli in R2); il padre (Scintille, della stessa raccolta) è anche il padrone che comanda al ragazzo di girare più forte la mola ma è pure il maestro che ti educa: quando sarai adulto, quel gira più forte ti risuonerà nella mente, come incitamento a tener duro nella fatica.
Anche il ricorso alla lingua  locale non è un vezzo in Vaccaro ma una necessità espressiva, irrinunciabile quando il sentimento si fa intenso (Pirandello sosteneva che il dialetto è più adatto ad esprimere sentimenti, la lingua nazionale ad esprimere concetti). Il dialetto bonefrano, malgrado la difficoltà di scrittura e di comprensione, appare al poeta l’unica lingua idonea a comunicare sensazioni forti, ricordi e riflessioni che si riallacciano al carattere detto all’inizio del popolo bonefrano: “ogni momento è momento/ di morte e di vita/ allacciate” (Fermati, in R3). La lingua locale diventa più ricorrente nell’ultima raccolta la quale, ci sembra, segni la maturità del poeta, con un linguaggio poetico più meditato e meno aspro. I poeti non sono filosofi – anche se parlano dei misteri e dei dolori della vita – e non sono predicatori. Essi scavano, rovistano, raccolgono e poi cantano. Tornano alla mente di Adam oggetti comuni (“la madia dolce come una patata/ s’apriva di profumi unti”, “la frissora nera - come lo zinale nero/ eterno di tutte le nonne di tutte le donne/ del Sud di sempre nero disperato” (in R2, Avanzi dimenticati, 1981). Tornano alla mente del poeta personaggi lontani: il maestro delle elementari cui è dedicata Il maglio (in R2), i compagni di scuola – quelli poveri e quelli ricchi, tutti eguali “tra i fiocchi azzurri e/ rossi dei grembiuli neri/ che facevano eguali/ le pezze al culo e i vestitini belli”. Rievocazioni cangianti come ritmi diversi del medesimo canto nel quale ogni poesia non ha vita solo in sé ma configura un organismo più complesso, l’opera intera del poeta. Una casa che per essere conosciuta richiede più chiavi avendo più porte. In questa nota ne abbiamo socchiusa una soltanto, limitandoci alle radici lontane.
 Bonefro come è evocata da Adam appartiene al passato. Mutato (svuotato) il paese, mutati i suoi abitanti e i loro modelli di vita. Quel piccolo mondo ormai scomparso. Le radici, tuttavia, sono il fondamento del vivere umano (e non solo umano come ci insegna Lorenz). Rappresentano l’iniziazione, una sorta di mattino joyciano che prepara il viaggio del giorno-vita che non si svolge come quello di Bloom tutto nel medesimo posto ma parte da quello sconosciuto paese e ad esso torna col pensiero. Adam ha più volte espresso il concetto di “cosa-casa”. La casa rappresenta la stabilità. Ti dà sicurezza come un’àncora come una bussola. Ne La casa sommersa (sezione di R3) il poeta fa riemergere la cosa-casa com’era: “ un posto una cosa un paese” ma anche “tante cose e persone piene di fame e di sogni”.
In un’epoca che ha placato la nostra antica fame ma non sa più sognare, è compito non secondario del poeta ricordarci come eravamo, quali erano i nostri limiti quali le nostre virtù, quali i nostri (bi)sogni. Ma la casa-radice rischia di imprigionarti. La cosa rappresenta una concretezza cangiante che puoi plasmare. La cosa, per dirla con le parole di Adam, “può assumere mille forme ed essere sorretta da mille supporti”. La casa può essere il filo di Arianna che ti fa andare nel labirinto senza perderti, la cosa è la nave che ti fa allontanare. Un equilibrio tra la stabilità parmenidea e la dinamicità eraclitea. Se si vuole – per citare un altro concetto caro a Adam – un rapporto equilibrato tra adiacenza e strappo.  Adam ha tentato di rialimentare quelle radici costituendo una Associazione culturale bonefrana e un periodico che hanno resistito per qualche anno, tra risorse umane mutate e disperse. 
Spetta al critico definire il percorso poetico di Adam e descrivere la maturazione anche espressiva che emerge dalla prima all’ultima raccolta. Questa nota si è limitata a gettare qualche lume sulle radici bonefrane per ribadire un concetto quanto mai attuale in un Paese come il nostro: il migrante porta non solo braccia da lavoro ma anche cervello e cuore; porta i suoi ricordi e le sue esperienze. Nessuno lo dimentichi. Nessun altro può ricordarcelo meglio di un poeta.

1 Sigle adottate nel testo:  R1, Raccolta La vita nonostante del 1978; R2, Strappi e frazioni del 1997; R3, La casa sospesa,del 2003.

PS - Ho vissuto con Adam gli anni dell’infanzia e adolescenza passati sulla comune strada polverosa prima a giocare (debbo precisare che noi non trafiggevamo civette: le vedevamo trafiggere dai ragazzi più grandi) poi a passeggiare e discutere “(di)versi”; anche a respirare legno nelle botteghe dei nostri padri entrambi falegnami e amici. Infine, entrambi abbiamo preso il volo: lui per Milano, io per Firenze per una carriera di cardiologo ospedaliero.Entrambi – Adam e io – a  vivere ricordando quegli anni, riconoscendo con i limiti anche notevoli di quel mondo l’apprendimento di princìpi etici che forse non ci hanno giovato nella carriera ma hanno preservato la nostra libertà interiore. Entrambi né più bonefrani né del tutto cittadini di Milano-Firenze tuttavia persuasi anche dei vantaggi del mettere insieme quei principi con il successivo arricchimento culturale come l’innesto di una pianta da frutto su un ceppo selvatico più resistente.
Nicola Picchione