Header image  

Nicola Picchione

BONEFRO.NET

webmaster NICOLA LALLI

 
 
    TORNA ALL'INDICE
 

 

IL DIAVOLO

 

Quando ci si mette il diavolo non c’è niente da fare. E’ un regista nascosto, invincibile e beffardo. Manovra tutto secondo i suoi capricci, gli uomini diventano attori docili e inconsapevoli e compiono azioni a volte incomprensibili e imprevedibili. Uno sino ad allora mite, incapace di ogni pur piccola violenza all’improvviso prende un’arma e uccide. I cosiddetti esperti vanno alla ricerca di misteriose vie dell’animo umano per giustificare una simile inconcepibile azione: è il diavolo che esercita il suo potere, arma la mano del mite e ne fa un assassino.
            Fu certamente il diavolo a spingere Massimo Belli a uscire di casa quel sabato pomeriggio della primavera scorsa a spingerlo a entrare nel bar vicino casa  e accettare la proposta di Lello er barista. Due giovanotti che più diversi non si potevano immaginare, che mai erano usciti insieme. Esile, timido, studioso e scontroso Massimo, figlio unico di una nota famiglia imprenditoriale; robusto, spaccone, donnaiolo Lello garzone del bar all’angolo della piazzetta sulla quale si affaccia Villa Belli.
            Ma andiamo in ordine.
            Quel sabato Massimo era rimasto solo. I genitori erano andati per il weekend a Firenze. Il padre per la partita Fiorentina- Roma, la madre per una mostra di pittori del Quattrocento. I due anziani domestici tuttofare, marito e moglie, avevano chiesto il permesso di andare al loro paese vicino Rieti dove avevano casa con un piccolo terreno. A Massimo non dispiaceva rimanere solo. Non aveva veri amici, non frequentava molto l’ Università. A lui sarebbe piaciuto iscriversi a lettere antiche; il padre avrebbe voluto che prendesse ingegneria. Si erano accordati per architettura. Passava molto tempo a leggere e ascoltare Mozart e Haydin, i suoi preferiti. Con i genitori aveva pochi rapporti. Somigliante alla madre sia nel fisico, asciutto ed elegante, che nella mentalità raffinata ma anche nella tendenza a chiudersi; del tutto diverso dal padre, grosso nel fisico, pratico nella vita, capace di socializzare con facilità, Massimo  era molto riserbato anche se quelle rare volte che si scioglieva riusciva ad essere simpatico e finanche troppo spiritoso come accade ai timidi.
            Quel sabato pomeriggio non era nemmeno granché per uscire. Piovigginava. Massimo entrò nel bar. Conosceva bene Lello, spesso si mettevano a parlare di sport, uno tifoso della Roma l’altro della Lazio, non tanto però da litigare. Lello, più grande di cinque anni, godeva a presentarsi come dongiovanni e raccontare le sue avventure con le donne. Ci teneva a precisare: “Nun confondemo. Nun se tratta d’amore. Solo per spassassela”. Aveva capito che Massimo in fatto di donne era a zero.
            “Bada- gli diceva- che nun è quistione de fisico, puro si er fisico c’ha la su’ parte”. Lello frequentava una palestra di culturismo e prendeva anche certe pillole che lo aiutavano a fasse quer fisico bestiale che piace alle ragazze, come ripeteva. Ma aggiungeva anche a Massimo: “Ricordete che le donne so de chi se le pija. Bisogna sapecce fa. Te con la tu’ machina dovresti fa scintille”. Aggiungeva: “ Ricordete: er tempo passa. Si nun approfitti mò, aspetti d’esse vecchio?”
Massimo non gli rispondeva. In fondo gli dava ragione. Ma, pensava tra sé, la capacità di abbordare le ragazze e rendersi simpatico è come il coraggio di don Abbondio: se non ce l’hai non te la puoi dare. Devi innanzitutto essere disposto a ricevere qualche rifiuto ed anche qualche parolaccia. Lello aveva promesso a Massimo di portarlo qualche volta con lui per una dimostrazione pratica di abbordaggio. Non è che vada sempre bene, aveva messo le mani avanti, ma l’importante è provacce senza paura. Guai ad avé paura co’ le donne. Loro se n’accorgono e se n’approfitteno. Manco er cacciatore più bravo fa sempe centro, concludeva.
            Massimo era combattuto tra la voglia di vincere la sua timidezza e il terrore di non essere all’altezza però non gli sarebbe dispiaciuto imparare almeno un po’ di quell’arte nella quale Lello era di sicuro tanto bravo. Era persuaso che una volta superato il primo ostacolo, dopo sarebbe stato tutto più facile anche per lui.
            “A Mà, guarda che tempo, stasera volevo annà fori”, disse Lello. Massimo si era seduto come al solito al tavolino in fondo al bar e stava leggendo il giornale.
            “ Che pensi d’annà ar cinema?” gli chiese Lello notando che scorreva la pagina degli spettacoli del Messaggero.
            “ No, non mi va di andare a cinema da solo. Magari se mi fai compagnia, andiamo insieme. A che ora esci?”
            “Presto stasera. All’otto so’ già fòri”.
            “Senti, si potrebbe andare prima a casa mia per un po’ poi andiamo a cena – te l’offro io-  e dopo al cinema”
            “Nun è male come idea. Sai, aggiunse Lello, ogni tanto bisogna pure riposasse e nun annà sempe a caccia de pischelle”. Sorrise, strizzò l’occhio e tornò al bancone.
            Dopo un po’ tornò:
 “Senti, a Mà, m’è venuta un’idea. Invece d’annà ar cinema, visto ch’è la prima vorta che uscimo insieme e che c’hai la casa a disposizione approfittamone pe’ ffa ‘na cosa bbona. Stamme a sentì. Però nun me dì subbito de no. Annà a trovà un par de ragazze è già tardi, ormai se so già organizzate pe la serata. Nun provo manco a telefonà. Famo un giro cò la machina tua, rimediamo una bella zoccoletta…” Gli sembrò che Massimo volesse interromperlo: “ No, aspetta. Mica ‘na vacca da tre lire. So un posto bbono dove bazzicheno solo ragazze de classe.  Magari costeno un po’ deppiù. Ne trovamo una coi fiocchi e ce la portamo a casa tua. T’assicuro, nun la vede nessuno, er posto dove la trovamo è lontano da qua, verso er Tritone… aspetta che vado a servì ma torno. Pensece. ‘Na sera che nun te la scorderai. Organizzo tutto io, tu ce metti la machina e la casa. Ar resto penso io”.
            Lello tornò a servire i clienti al bancone. Massimo rimase turbato. Si sentiva agitato all’idea. Gli era capitato a volte da ragazzo di trovarsi di fronte a un pericolo che avrebbe voluto evitare ma che doveva necessariamente affrontare. Non aveva mai avuto avventure con ragazze salvo qualche filarino al liceo. In pratica, non era mai stato a letto con una donna. Forse la prima volta era meglio con una del mestiere alla quale non fregava nulla se lui era inesperto. Poi non si incontravano più e chi s’è visto s’è visto. Bisogna saltare il fosso, pensò, e questa è una buona occasione. Non serve trovare delle scuse e rinviare. Il cuore cominciò a battergli forte, nel momento in cui decise di accettare la proposta di Lello.
            Il diavolo aveva fatto la prima mossa e, nascosto in qualche angolo, si fregava le mani ghignando.

                                                                       *   *   *

            Avevano lasciato il quartiere africano. Aveva smesso di piovigginare, le nuvole erano andate via lasciando un cielo sereno con pochi ciuffi che da bianchi erano diventati rosa e poi violacei. Quando uscirono dalla villa era buio da tempo. Le strade erano rimaste bagnate e riflettevano le luci dei lampioni e delle insegne trasformandole in scie colorate dai contorni incerti come se tanti pennelli fossero stati trascinati nella strada sbavando.
            “Ammazza che machina” aveva detto Lello quando era montato sulla Porche di uno strano colore amaranto “un giorno me la farai provà”. Un altro “ammazza” Lello lo aveva urlato entrando nella villa e un altro ancora quando con l’ascensore erano scesi direttamente in garage e poi con lo stesso telecomando Massimo aveva aperto garage e cancello. La villa  liberty era separata dalla piazzetta da un alto muro interrotto da un gran cancello in ferro battuto dal quale partiva un vialetto che portava da una parte al garage e alla villa e dall’altra al giardino.
            Costeggiarono Villa Borghese.
            “Ma perché vai così con questa machina?”
            “Così in che senso?” chiede Massimo.
            “Così piano. Nun senti come soffre er motore?”
            “Mi sembra di andare normalmente anzi sto superando i limiti di velocità “
            “Stai fresco a rispettà sempre i limiti e magari fermatte ad ogni stop. E quanno arivi?”
            “Guarda che arrivi più o meno allo stesso tempo al più guadagni qualche minuto”
            “Nun è pé guadagnà minuti, c’è er gusto de fregà l’artri. E poi perché avresti sta machina?”
            “In effetti non l’ho scleta io. Mio padre l’aveva comprata per sé e poi l’ha passata a me. Se fosse per me basterebbe una vecchia cinquecento e di solito preferisco girare in città col motorino”.
            Stavano percorrendo via Veneto.
            “Gira un po’ a sinistra. Annamo verso la stazione, famo un giretto tanto è ancora presto”
            Attraversarono  largo S. Susanna e giunsero in piazza della Repubblica.
            “Ammazza quant’è bella ‘sta fontana dell’Esedra. Per me è la più bella de Roma e der monno specie de notte” . Dalla stazione svoltarono, passarono davanti S. Maria Maggiore e si diressero verso piazza Vittorio.
            “Questa è la zona mia- disse Lello- abito in via Cairoli. Sta piazza è diventata er regno de li stranieri come la stazione. Se vai ar bar là all’angolo dopo i portici so tutti de loro, mortacci loro. Me piagne er core. Quanno ero ragazzino e annavo ar mercato cò mì madre nun ne vedevi uno de sti cojoni e mò so tutti loro. Allora l’unici stranieri erano l’ebrei”
            “Guarda che gli ebrei di piazza Vittorio sono tutti romani da generazioni. Sono più romani loro che tanti altri. I tuoi nonni erano romani?”
            “No, venivano dall’ Abruzzo”
            “ Vedi? Prova a chiedere a uno di loro. Probabilmente di dirà che già nel 500 erano a Roma”
            “Io a quelli nun je credo. Pè me nun so né romani né italiani. Loro so solo cazzi loro. Ma lassamo perde. Mò questo quartiere è pè l’extracomunitari. Se vai ar bar so tutti loro e noi semo li stranieri”
            “Sono costretti a lasciare la loro terra per necessità”
            “Questa, scusami, è tutta ‘na stronzata e io nun ce credo. Questi arriveno e se comprano negozi e case. Pè me li veri poveri nun c’hanno li quattrini pè venì e forse nemmanco la voja e resteno a marcì do so’  ‘nnati. Semo diventati come ‘na troja co le cosce aperte. Te lo dico io: nun avemo più midollo. Puro li missini se so calate le brache pè avecce le poltrone. Vai a destra e gira pé Colle Oppio”.  Percorsero il breve tratto poco trafficato.
            “Qua da regazzo ce venivo a pomicià. Potevi esse tranquillo che nessuno te rompeva. Mò è tutt’un casino tra barboni, marocchini e albanesi”
            “Il mondo cambia, ci dobbiamo abituare. Nessuno lascerebbe volentieri la propria terra per andare in un paese straniero. Anche noi lo abbiamo fatto…”
            “A Mà, niente niente saresti de sinistra?”
            “Se lo fossi, che ci sarebbe di strano? Del resto, se tu sei di destra, non ci trovo niente di strano.”
            “Fermete un po’, Massimo. Hai visto che tocco ?” Massimo fermò l’auto nel piccolo largo di fronte al Colosseo che riposava davanti a loro immenso e nero nella notte con i suoi mille occhi di luce gialla. Lello scese e si allontanò di poco. Si mise a baccagliare con una mora alta con un paio di gambe lunghe, nude sotto uno stretto gonnellino. Massimo poteva vederli bene sotto un lampione. La mora, con lunghi capelli e vistosamente truccata discuteva animatamente con Lello che ad un certo punto alzò la voce e le urlò un vaffanculo tornando verso l’auto.
            “Era uno stronzo de travestito, li mortacci sua” disse sbattendo lo sportello “annamo via sennò lo stenno a tera. Sti brasiliani de merda”. Si ravviarono.
            “Non te la prendere, gli fece Massimo, travestito com’è chiunque si sarebbe sbagliato”
            “Nun me dovevo sbajà. Li conosco quelli là. Ma pecché vengono a rompe da noi?”
            “ Si vede che c’è richiesta. Il mercato offre ciò che riesce a vendere”.
            “Me fanno schifo. Io nun c’andrei manco morto. Gli pianterei un palo ner deretano. Questi nun so manco finocchi normali”
“Quali sono i finocchi normali?”
“Quelli che nun se travestono. Nun è che siano normali e pure a loro darei ‘na tortorata”
“Mi sembra che tu ce l’abbia con tutti quelli che sono diversi. Che fastidio ti danno gli omosessuali? Guarda che sono persone molto sensibili. Non immagini nemmeno quanti nomi famosi nel campo delle lettere, della musica e delle arti in genere sono e sono stati omosessuali. Sono diversi dagli altri ma in fondo tutti siamo diversi e per fortuna c’è la diversità”.
“ Senti, pensala come te pare ma a me me stanno sulle scatole anche se ce so state tante persone famose tra de loro. Lo so. Nun pensà che so un burino. Ho fatto anche le superiori. A casa non stavamo male (Lello cominciò a parlare un linguaggio meno dialettale come faceva quando voleva fare il serio). Mio padre ha avuto sino a poco fa un’edicola di giornali. Una edicola è una piccola fortuna, specie se piazzata al posto giusto. Sò sacrifici, la matina te devi alzà presto ma rende molto. La maggior parte sò de chi c’ha le mani in pasta nell’ambiente. Mio padre riuscì dopo tanti anni che ci lavorava a comprarsela e voleva che io continuassi il suo lavoro. Veramente gli sarebbe piaciuto che studiassi ma a me nun m’andava de studià e nemmeno volevo finì in quella gabbia foderata de carta. Certo, nun pensavo de finì dietro a un bancone de bar. Pazienza. Nella vita bisogna adattasse”.
            Avevano percorso via dei Fori.
            “Quanto me piace l’altare de la Patria” esclamò Lello.
            “Veramente gli esperti dicono che è molto brutto e qualcuno ha chiesto che sia buttato giù”
            “So li soliti comunisti de merda che vorrebbero fa sparì tutta piazza Venezia per scordà er capoccione”
            “E chi se lo scorda con tutto quello che ha combinato”
            “Eppure oggi ce vorrebbe uno come lui pé rimette le cose apposto e fa un repulisti”
            Massimo non rispose. Preferì evitare una inutile discussione. Gli idoli sono intoccabili, pensava, non appartengono più al mondo concreto e non conta ciò che hanno veramente fatto. Conta ciò che rappresentano nel cuore delle persone. Vengono trasformati in simboli, emblemi di aspirazioni. Icone mummificate, intoccabili. Possono anche avere ucciso mille o un milione o un miliardo di persone. Del tutto inutile discutere. (Il diavolo aveva stabilito che tutto doveva filare liscio verso la conclusione).
            “Ora devi annà piano” disse Lello. Avevano percorso parte di via Nazionale e attraversato il traforo. Il traffico era diventato scarso. Lello aveva abbassato il vetro e scrutava il marciapiedi. Fecero un buon tratto di strada. Ad un tratto Lello disse:
            “ Accosta e ferma”. Scese e si avvicinò ad una bionda ferma sul marciapiede. La luce di una vetrina permetteva a Massimo di vederla bene. Alta, con un viso dai lineamenti che gli sembrarono perfetti dando al volto un aspetto aristocratico . Gli ricordò una ragazza slava che aveva visto in TV. Da un soprabito lungo e scuro, sbottonato, uscivano due gambe perfette da una minigonna stretta. Questa non mi sembra proprio un travestito, pensò Massimo. Lello continuava a parlare con la ragazza gesticolando e facendo segni ogni tanto verso la macchina.. Tornò da Massimo:
            “ Questa ti piacerà. L’avevo vista qualche giorno fa e so’ venuto a colpo sicuro. Stamme a sentì e nun fa obiezioni. Le ho raccontato che tu sei di una famiglia nobile e che tuo padre fa il produttore a Cinecittà. Quando vedrà la tua casa non avrà dubbi. Vedi la stronzetta, sta a parlà al cellulare col suo pappone pé avé er permesso de venì a casa. Le ho detto che deve sta co’ noi almeno 2-3 orette”. Tornò verso la ragazza che aveva finito la telefonata. Lello la fece entrare in macchina.
            “ Te devi arrangià un po’. Queste macchine sportive so fatte pé due”. Parlava lentamente. Spiegò a Massimo: “ Deve esse qui da poco, sa solo qualche parola di italiano anzi de romano peggio de me. “. Si rivolse alla ragazza:
            “ A Magda è da molto che sei a Roma?”
            “Un mese”
            “ Magda dev’esse il suo nome d’arte, tanto pè dì. Forse ar pappone gli è venuta in mente la Magda de Verdone.  Se vede che er pappone le ha dato il permesso de venì con noi”.
            Si scorreva bene. Lello accese la radio. “Così con la musica, disse, lei nun ce capisce. Senti, Massimo. Io vengo a casa con voi e resto ma poco. Tanto pè aiutà a creà l’atmosfera. Poi ve lascio soli. Datte da fà. Questa è ancora ingenua, so’ sicuro che è una principiante.  Domani mi racconterai”.
            Massimo si sentiva tutto irrigidito, le mani ghiacce. Gli sembrava che la testa fosse vuota. Avrebbe preferito trovarsi a Firenze con i suoi. Magda sedeva tutta rannicchiata sul corto sedile posteriore, le mani su una borsetta blu a fili intrecciati come una rete che stonava maledettamente con l’aspetto elegante nel fisico e nel viso della ragazza.  Massimo guidava nervosamente. Le parole di Lello gli arrivavano come da molto lontano. Rispondeva a monosillabi. Gli sembrava che la ragazza fosse troppo chiusa. Non aveva esperienza di questo tipo di donne anzi non aveva nessuna esperienza di donne ma immaginava che esse fossero piuttosto allegre e loquaci (gli venne da pensare: non le chiamano proprio donnine allegre?). In realtà aveva sempre avuto molti dubbi che con quel mestiere fossero veramente allegre. Si era fatta l’idea, senza saperne nemmeno le ragioni, che queste ragazze soprattutto se alle prime armi come sembrava Magda fossero tristi e depresse ma spinte a mostrarsi allegre solo per dovere di mestiere. Un po’, pensava, come gli attori comici che per mestiere si mostrano allegri e fanno ridere ma privatamente sono spesso tristi e di poche parole. Almeno a quanto aveva letto su qualche rivista. Gli venne anche da pensare che forse Magda ( o come in realtà si chiamasse) fosse una di quelle ragazze illuse di trovare un buon lavoro in Italia e poi costrette con ricatti alla prostituzione. Questo pensiero diventò nella mente di Massimo non più una ipotesi ma quasi una certezza. Guardando Magda dallo specchietto retrovisore, gli sembrava che fosse rannicchiata non tanto per lo spazio ristretto ma  per un atteggiamento di difesa come gli animali spaventati. Decise che appena rimasti soli a casa, egli ne avrebbe parlato con lei e non solo non avrebbe preteso la prestazione del mestiere ma le avrebbe anche proposto di aiutarla, pur non sapendo come. Naturalmente, non ne fece cenno con Lello. Questi pensieri e questa risoluzione allentarono la sua tensione. In realtà Massimo aveva accettato la proposta di Lello non solo senza entusiasmo ma per cedimento momentaneo e, forse, per una sfida a se stesso, forzando la propria natura contraria a certi rapporti che riteneva non dignitosi. Era persuaso che quelli sessuali fossero solo una parte, importante ma non esclusiva, dei rapporti tra uomo e donna. Aver trovato una via per non portare al termine il loro piano ( che in realtà era solo di Lello) gli alleggerì l’animo. Che cosa racconterò a Lello domani?, si chiese. Non volle pensarci. Sapeva già, prima ancora di decidere, che gli avrebbe detto la verità.
            Arrivarono alla villa. Lello sbirciava la ragazza per notarne qualche espressione di meraviglia all’aprirsi automatico del gran cancello e poi all’entrare dal garage in ascensore e direttamente nell’ingresso che dava sulla grande sala che si illuminò quasi per magia, splendente e carica di mobili sui quali erano poggiati mille oggetti preziosi. Ma il viso di Magda rimase del tutto indifferente. Massimo le prese il soprabito.
            “Ammazza quanto sei bella, esclamò Lello, me sembri una statua. Tu potresti fa l’attrice e non er mestiere che fai”. Magda accennò un sorriso. Sedette sul divano cercando di tirare giù la minigonna. Metti un pò de musica, disse Lello a Massimo e offrici qualcosa da bere. Si diffuse nella sala, da altoparlanti invisibili, una musica dolce e morbida. Un sax, sorretto da violini e da una batteria che ritmava sommessamente il motivo, languidamente sussurrava note di velluto.
            “Massimo, che è ‘sta musica che ce fa dormì?”
            “E’ un pezzo famoso, The smile of your lips”
            “Metti qualcosa di allegro e dacce un wisky”
            “Non bevo alcolici” disse Magda.
            “Che fai come i poliziotti che nun bevono in servizio?”, Lello rise.
            “Però un buon caffè lo prendi” chiese Massimo. La ragazza annuì. Massimo sparì verso la cucina a preparare il caffè. Forse era la prima volta che armeggiava in cucina e non riusciva a trovare la polvere del caffè e poi a far funzionare la macchina a vapore. Prese la moka. Aveva appena spento il gas al gorgogliare della moka quando udì Lello e la ragazza discutere animosamente, poi lui che urlò:
            “Ma va a morì ammazzata, chi te credi d’esse, ‘na fata o ‘na regina? Ma te rendi conto del mestiere che fai?”. Massimo entrò in sala in tempo per vedere Magda indietreggiare di fronte a Lello, perdere l’equilibrio e cadere all’indietro senza potersi sostenere ad un appiglio. Udì un rumore secco, breve. Gli sembrò che la testa della ragazza, battendo sull’angolo del ripiano di marmo di un basso tavolo al lato del divano, rimbalzasse prima che tutto il corpo finisse a terra, inerme. Si precipitarono entrambi su di lei. Sull’angolo del marmo c’era una piccola chiazza di sangue. Un’altra, pure piccola, era sulla testa della ragazza che cominciarono a tentare di rianimare.
            “Prendi un po’ d’acqua fredda” disse Lello che teneva sollevata la testa della ragazza e la scuoteva. Massimo corse a prendere l’acqua con la quale Lello spruzzò il viso di Magda che poi cominciò a scuotere.
            “Svejete, le diceva, pé favore svejete nun fa scherzi”.
            “Me pare che nun respira- aggiunse poco dopo- guarda te, io nun ce capisco niente più”.
            Massimo uscì dalla sala inseguito dal richiamo di Lello. Tornò con uno specchietto.
            “Ho letto che con lo specchio si vede meglio se respira”. Mise lo specchietto sotto il naso della ragazza. Non notò il vapore dell’alito.
            “Ho paura che sia morta” mormorò.
            “Ma nun se po’ morì pè ‘na caduta. E ‘na stronzata”, Lello non riusciva a crederci,                      “ Riprova”
            “No, proprio non respira”.
            Rimasero fermi, muti in piedi a guardare il corpo inerme della ragazza.
            “Com’è bella, disse Lello, nun se po’ morì così giovane e così bella pè ‘na caduta. Stavamo discutendo lei si è fatta indietro ed è inciampata sul tappeto. Maledetto quel tavolinetto, non poteva cadé sul divano?”. Massimo continuava a guardare la ragazza. Ora le sembrava ancora più bella, il corpo disteso con le gambe nude appena piegate, il viso incorniciato dai capelli biondi reclinato da un lato. Senza capirne la ragione ebbe per un attimo l’impressione di conoscerla da molto tempo come se ora, priva di vita, si fosse rivelata una vecchia amica ritrovata venuta chissà da dove.
            “Che famo?”, la voce di Lello lo richiamò alla realtà.
            “Dobbiamo avvertire la polizia…”
            “Ma che sei matto? Sta a guardà me invece che fissarti su di lei. Anzi annamo a parlà nell’altra camera, lontano da lei senza impressionacce troppo”. Andarono in cucina. Era rimasto il forte aroma del caffè.
            “Beviamo il caffè che ci rimette su e ragioniamo”, Lello smise quasi di parlare in dialetto, “cercando di essere lucidi e decidere er meglio. E’ assodato che noi non siamo responsabili di quello che è successo. Noi l’abbiamo portata qua per divertirci e trattarla bene. Le avevo assicurato che l’avremmo pagata bene. E’ successa sta maledetta disgrazia. Ti rendi conto che succede se chiamiamo la polizia? La nostra vita è distrutta. Ce sospetterebbero chissà de che e ce metterebbero sotto torchio magari a facce confessà pure quello che nun avemo fatto. E pensa alla tua famiglia e alla mia. Mio padre m’ammazzerebbe e morirebbe de vergogna. Pensa ai giornali, allo scandalo. A Massimo, ce rovineremmo pé sempe la vita senza avecce colpa. Qua ce dovemo riparà assolutamente er culo”.
            “E allora che pensi di fare?”.
            “Stamme a sentì. Nessuno sa che Magda è venuta qua. Noi la portiamo lontano e la lasciamo”.
             Notando che Massimo non rispondeva e rimaneva perplesso, aggiunse:
             “Pensaci. La mia è una buona proposta. Noi non imbrogliamo nessuno e non cambiamo il destino de ‘sta povera ragazza. Cerchiamo solo di difenderci e questo me pare leggittimo”.
            Tornarono in sala. Massimo notò le mani di Magda, magre eleganti con le dita affusolate, bianche come di cera.
            “La dovemo portà in machina. Prendi un paio de coperte”.
            Avvolsero il corpo con le coperte, lo portarono in garage e lo sistemarono nel portabagagli che chiusero a chiave. Tornarono a casa, pulirono lo spigolo del tavolinetto e la macchia di sangue sul pavimento.
            “Ce stavamo a scordà la borsetta”, disse Lello. La prese dal divano e l’aprì.
            “Poi gliela metteremo affianco ma dovemo levà i soldi così sembrerà che sia stata rapinata. Ma ‘sti soldi nun li voglio, domani li daremo a un poveraccio o li metteremo nella cassetta della chiesa”. Stava rovistando nella borsetta.
            “Guarda un po’ ‘sta scatoletta, sembrerebbe una radio ma è strana. Forse nei paesi sottosviluppati le fanno così”. Rimise la scatolina nella borsetta col rossetto, il rimmel e lo specchietto.
            “So un bosco fuori città. Prenderemo la Cassia” disse Lello “Me raccomanno, nun core troppo, dovemo assolutamente evità ogni incidente. Nun passà col giallo e fermate a ogni stop. A ‘st’ora nun ce so vigili ma nun se sa mai”.
            Partirono.
            “Forse è solo un’impressione ma vedo sempre dei fari dietro di noi, disse con un filo di voce Massimo, come se qualcuno ci seguisse”
            “E’ la paura d’esse spiati. E’ normale avecce paura. Chi vuoi che ci segua? Anche a quest’ora le macchine circolano e dietro ce n’è sempre quarcuna. Cercamo d’esse persone mature e non ragazzini spaventati. Pensa a guidà bene”
            Massimo non parlò più. Ogni tanto guardava nello specchietto retrovisore cercando di non farsi notare da Lello. Continuava ad avere l’impressione d’essere seguìto ma finì col dare ragione all’amico che ogni tanto gli dava indicazioni sulla via da prendere. Guardava con molta attenzione nel timore di vedere a qualche incrocio i carabinieri. Lello lo guidava per strade secondarie . Le uniche parole che si scambiavano erano le indicazioni stradali, per il resto tra loro pesava un silenzio assoluto. Giunsero sulla Cassia.
            “Ancora un po’ di chilometri e poi imbocchiamo una strada secondaria che ci porta a un bosco grande. La lasceremo là. La polizia penserà che sia stata portata pé fa le loro cose e poi rapinata e fatta fori da delinquenti. Ora puoi annà un po’ più forte, prima arrivamo e meglio è così tornamo a casa e che s’è visto s’è visto” “Certo, aggiunse, finché campamo ricorderemo questa brutta cosa”
            La Porche filava sulla Cassia verso il bosco. ( Da qualche parte il diavolo seguiva la scena e ghignava fregandosi le mani ).

                                                                       *   *   *

"Non ti sembra di correre un po’ troppo? Non me ne ero accorta ma ora che guardo il tachimetro mi pare che 180  siano troppi. La strada è bagnata, anche se ha smesso di piovere. E poi ricordati che c’è il limite di velocità di 130…”
"Guarda che non corro. Che vuoi che siano 180 per questa macchina? Per una Maserati è come andare a 100 con le altre. Secondo te io dovrei andare a 130 pé rispettà ‘na cavolata di qualche scemo. Chi vuoi che rispetti questi limiti, manco quelli con la motoretta”.
"Lo sai quanti morti ci sono ogni anno sulle strade?"
" Ma che fai, porti jella? Io me gratto. I morti so dovuti a chi nun sa guidà e ai Tir che rompono le scatole e sono diventati i padroni de la strada…"
"Va bene ma ormai  manca poco per arrivare a Roma, puoi anche rallentare. Abbiamo superato da un pezzo Magliano Sabina ed è solo mezzanotte. E’ andato tutto bene, vediamo di arrivare altrettanto bene. Mi dispiace per Massimo che è rimasto solo. Sono anche preoccupata. L’ultima volta che l’ho sentito è stato ieri sera. Tutt’oggi lo chiamo, il cellulare non è spento ma non mi risponde”.
          " L’avrà lasciato da qualche parte e non lo sente suonare. Sai che Massimo ha poca simpatia per i telefonini e se ne serve poco. Quando se lo porta, spesso lo lascia spento e non si accorge neanche se la batteria è scarica. Per un giovane non è un problema rimanere da solo, anzi. Dovrebbe approfittarne e fare un po’ di baldoria. Se non la fa ora, quando la farà ? Solo che lui sta bene da solo ma non per fare come gli altri giovani. Non sa divertirsi. Ho paura che non saprà nemmeno prendere il mio posto. Non è portato per gli affari. Gli piace troppo passare il tempo sui libri ed ascoltare quella lagna di musica, cose che non servono per farsi avanti. Dovrebbe imparare a stare in mezzo alla gente, praticare quelli che contano. Ho cercato di portarlo con me qualche volta, di presentarlo a qualcuno. Ora se deve fa gli amici che un giorno possono servirgli.
 Ma mè stai a sentì ?
"Certo che ti sto a sentire. Non so che risponderti. Siete molto diversi voi due".
"Lo so, lui somiglia a te ha la mente per aria. Ma tu sei donna…"
"Che vuoi dire, che noi donne possiamo avere la testa per aria come dici tu?"
"Dico che lui un giorno dovrà prendere il mio posto e non si può permettere questo lusso"
"Massimo è uno studioso, a lui piace studiare".
"Sì quello che je garba, so’ romanzi, poesia, filosofia. Ma me dici a che cazzo gli servirà nella vita invece de pensà a prende la laurea  e sta dietro a me negli affari? Ma un giorno come cazzo porterà avanti l’ Azienda?"
"Per piacere non alzare la voce"
"Scusa ma quando penso a queste cose me se rigirano i coglioni. Io alla sua età ero già pratico dell’ Azienda e aiutavo mio padre".
"Sì ma hai smesso di studiare. Lo dici anche tu che se avessi preso la laurea sarebbe stato meglio".
"Lui la laurea la deve prende ma deve pure capì come va la vita. Nun me garba che se rinchiuda come un carcerato. Non ha amici, non ha una ragazza a vent’anni".
"Ventidue. Non sai nemmeno l’età di tuo figlio".
"Vabbé. Mi dici come fa a nun avecce una ragazza magari solo pé spasso? Uno come lui coi quattrini che non gli famo mancà con una machina che da sola rimorchierebbe le mejo donne…No, proprio nun me va. Bisognerebbe trovargli un amico scafato che lo portasse in giro a ballà, a scopà…"
"Dario…."
"Ma che nun posso dì  quello che me passa manco a te?"
"Va un po’ meno forte, per piacere".
"Possibile, cazzo, che con te nun posso parlà ? Mai che te vada bene quello che dico. Mai una vorta che t’ho sentita dì : sei stato bravo, sta cosa l’hai fatta bene. Ma che cazzo m’hai sposato a ffa? Per li quattrini e basta?"
"Ma che cosa c’entra tutto questo, scusa. Ma che ti ho detto di tanto male? Era andato tutto bene, siamo stati due giorni a Firenze in pace. Era troppo bello. Possibile che non ci sia una volta che non finisca in lite? Ma di che mi rimproveri? Di avere sopportato tutte le corna che mi hai messo?"
"Senti, per piacere non la mettere sempre in lacrime. Me so rotto li coglioni de vedette sempre in lacrime".
"Non ero così una volta. Lasciamo perdere, per piacere. Avevamo cominciato a parlare di Massimo e non di noi. Non serve parlare di noi…"
Lui accese una Marlboro, lei accese una Rothman. Lui le rivolse un rapido sguardo. Gli piaceva il  profilo del suo viso asciutto sul collo lungo, i suoi occhi azzurri da bambina circondati da piccole rughe che non lo invecchiavano ma sembravano accrescere il tono di nobiltà. Lei guardava avanti come volesse fuggire lontano con lo sguardo. Lui accese la radio e premette il tasto di selezione di Radioroma. Solite canzoni der cazzo. Solite notizie de politica der cazzo. Poi la cronaca fitta di disgrazie. Grave incidente sul raccordo anulare dove un tir si è ribaltato causando un tamponamento a catena con due morti ( lui si toccò tra le gambe e inavvertitamente  tolse il piede dall’acceleratore). A Ostia un pirata della strada ha travolto una donna che è morta e il suo bambino di un anno che è grave all’ ospedale. Non c’erano testimoni ma sembra che alla guida ci fosse un extracomunitario (perché non li mettono tutti in un campo di concentramento, pensò lui, e poi li rispediscono tutti a casa loro?) . La voce del cronista si fece più grave:
“ Sembra che la violenza non abbia mai fine. E’ stato rinvenuto  in un bosco poco distante dalla Cassia a 20 Km da Roma il cadavere di una giovane dell’apparente età di venti anni. Quasi certamente si tratta di una ragazza extracomunitaria arruolata per la prostituzione. Si presume che il delitto sia stato commesso a scopo di rapina. Nella borsetta della giovane non è stato trovato danaro. Particolare curioso, oltre a pochi oggetti di bellezza è stata trovata una piccola trasmittente”.
-Ammazza ‘sti papponi, sò diventati moderni e le tengono sorvegliate anche a distanza pè nun falle scappà. Questa gente, solo a pensarci, l’attaccherei a un palo e gli staccherei le palle così invece di papponi diventerebbero capponi".
Girò lo sguardo  verso la moglie per notare se la battuta aveva avuto effetto.
“In questa tragica notte di delitti, nello stesso bosco sulla stessa strada secondaria ma a distanza dal primo cadavere e quasi all’uscita del bosco verso Roma sono stati rinvenuti i cadaveri di due giovani”
-Aridaje. Ma dove annamo a finì? Qua si nun ariva un altro Duce cor manganello nun se mettono le cose a posto.
“Si tratta di due giovani, entrambi freddati con un proiettile al capo. Le tracce di una brusca frenata senza che l’auto sia andata fuori strada lascia pensare ad un agguato. Il nostro cronista è riuscito ad avere notizie su un lugubre scempio: i due giovani sono stati evirati.”
"Per piacere, cambia stazione. Non ti fa senso sentire queste notizie?"
"Aspetta un po’, voglio sentì la fine".
“Le vittime sono due giovani la cui identità non è stata rivelata dalla polizia che li avrebbe identificati ma non è ancora riuscita a mettersi in contatto con i familiari di uno dei due. Per il momento, nessuna ipotesi è stata fatta sulla eventuale connessione tra il delitto della probabile giovane prostituta e quello dei due giovani. Sappiamo che l’auto sulla quale sono stati trovate le due vittime è una Porche scura “
Di sicuro il diavolo era appostato da qualche parte al decimo chilometro prima del casello di Roma Nord e vide una Maserati frenare bruscamente quasi fermarsi con un immenso urlo dei freni e poi riprendere verso Roma una corsa pazza.
Di sicuro il diavolo avrà sorriso fregandosi le mani e andando con un balzo ad appostarsi ghignando alle porte di Roma.

 

Marzo 2003
Nicola Picchione.