COMERAVAMO a cura di Nicola Picchione

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LA CASA

         
          Non so se queste note che vado scrivendo siano lette da qualcuno e se possano interessare. Nella mia intenzione esse, pur nella loro superficialità e parzialità, vorrebbero essere non solo una piccola testimonianza del passato recente ma anche un riferimento per i giovani affinché possano rendersi conto del tanto che hanno in più e del poco ( ma di non poco peso) che forse hanno perduto. So che in varie parti d’ Italia, gruppi di giovani lasciano le città e vanno a vivere in piccoli paesi o in campagna: ritorno alle origini? Stanchezza di una vita convulsa? Il mio non è un invito a tornare indietro ma solo un piccolo, parziale ricordo del passato non lontano.
          In quanto agli anziani, conoscono bene quel mondo passato e possono constatare l’inadeguatezza del mio raccontare. Spesso, però, essi lasciano solo tracce orali- se trovano chi sia disposto a sentirli- che sfumano rapidamente.
          Nel tentare di descrivere cose e ambienti, provo a parlare indirettamente delle persone e della loro vita. Mi dovrò decidere, successivamente, a scriverne direttamente.

          Ho tentato prima di descrivere brevemente la strada e la piazza di Bonefro. Ora proviamo ad entrare in una casa. Scegliamone una media di un contadino. Ce n’erano tante diverse da quella che proverò a descrivere, più grandi o più piccole. Chi era solo e non aveva grandi risorse, spesso viveva in una sola stanza. Ricordo donne anziane vedove con la sola risorsa di una piccola pensione (mia nonna, vedova di guerra, aveva una pensione di 5 mila lire nei primi anni ‘50. La mia bicicletta- quella che ancora uso quando sono a Bonefro- costava 32 mila lire). Vivevano in una stanza d’affitto. C’erano il camino, il tavolo, il comò con il vecchio ritratto del marito morto, una piccola credenza, il letto sotto il quale erano conservate le patate; qualcuna ci nascondeva anche la bara per non dar fastidio dopo la fine. Le mele caitenell’ erano messe al fondo del comò per profumarlo. Oggi tutto questo può suscitare meraviglia e chiedersi come si poteva vivere in una sola stanza senza gabinetto ma non era un problema e non era certamente questa condizione a  togliere serenità alla vita. Una stanza col camino, la madia per il pane, il letto e il comò bastavano. Poi ci siamo caricati di tanti bisogni; tanti oggetti e tanto spazio ci sembrano oggi indispensabili ma a ben pensarci siamo circondati da una gran quantità di oggetti che ci complicano la vita anche se ormai non possiamo rinunciarvi. Cominciamo a rendercene conto nel sentire delle tonnellate di monnezza che produciamo e che ormai non sappiamo dove collocare. Non solo abbiamo gonfiato i nostri bisogni ma essi ci hanno tanto asserviti da indurci a pensare che la vita sarebbe intollerabile senza le nostre “comodità”. Non ci è bastato il frigorifero ( ma posso assicurare che l’acqua fredda di cui disponiamo non ci dà lo stesso piacere di quando si andava alla fontana di Mastro Cosimo a riempire la giarra  e si beveva l’acqua fresca), molti di noi si sono forniti anche di freezer. Una volta c’era il problema della mancanza del necessario e della fame; ora quello dell’eccessivo e dell’obesità.

          Nella nostra casa immaginaria c’è a pian terreno un grande spazio ( u v’ttar) con la stalla, la botte per il vino ( a t’nell’) , qualche damigiana di vino, l’ alto cassone di legno del grano ( u chescion’), gli attrezzi agricoli, la rimessa per la paglia ( a pegghier’). C’ è anche una piccola stia per i polli ( u masciunar’) che durante il giorno girano all’aperto davanti casa.
           La casa che stiamo visitando non ha in questo spazio il posto per il maiale (a roll’) ma una piccola conigliera, una gabbia di legno con una rete metallica a larghe maglie. Avvicinandoci a questa casa avremo sentito un cattivo odore: proveniva dalla roll’ ricavata dal sottoscala esterno       del vicino ( a roll sott’ u m’rell ). Forse nulla emana cattivo odore come gli escrementi del maiale che lungo le strade di Bonefro si sentiva ogni tanto. Una porta immette dal v’ttar alla scala molto ripida che porta al piano superiore, evitando di uscire fuori e rientrare dalla porta principale. Salgono verso la cucina anche i non gradevoli odori del piano basso. Saliamo ed entriamo nella cucina ma prima notiamo che affianco alla porta esterna, a livello del pavimento, c’è una piccola buca: serve al gatto per entrare e uscire liberamente. Il gatto, come tutti gli altri animali, non è tenuto per compagnia ma per l’utilità: i topi non mancano. Limiteremo la nostra visita alla cucina evitando di entrare nelle altre stanze- una o due- per rispetto della riservatezza. Non troveremmo disordine: le donne di Bonefro erano molto ordinate e di regola non rinviavano le faccende, non andavano a letto se non avevano messo a posto tutto e pulito ( n’n z’ sa mai che t’ po’ cap’tà a’ nott’: la gente non dovrebbe trovare disordine). La cucina, del resto, è il cuore della casa. In essa si svolge la vita della famiglia, si mangia, si accolgono gli amici sia quando vengono a trovarci nei giorni normali che in quelli di festa. Qui li accogliamo, per esempio quando facciamo la festa del maiale il giorno che l’uccidiamo. La cucina era anche una sorta di officina degli alimenti da conservare. In quella economia quasi autarchica con scarsa circolazione di danaro era importante preparare alimenti da conservare, tenuto anche conto che non c’era la possibilità di conservarli in frigorifero.  Il passato di pomodoro d’estate e la preparazione delle carni di maiale d’inverno erano procedure fondamentali nella vita familiare. Era anche uno dei tanti modi per la vita sociale con scambio di aiuto tra amici.
          La cucina è piuttosto grande. C’ è il camino, fondamentale per la vita di casa. Non è soltanto il luogo del fuoco. E’ quasi un luogo magico non solo per quello che ne può uscir fuori se andiamo a guardare tutto ciò che contiene ma perché esso dà vita e calore a tutta la casa, anche se non è grande come gli antichi camini toscani in pietra che occupavano tutta una parete e consentivano a più persone di sederci dentro. I Romani avevano il culto dei Lari protettori del focolare e della casa. Non c’è ancora il gas, nemmeno nelle bombole, e nel camino prepariamo la cucina, la brace da mettere nel braciere di rame tenuto in un piede circolare di legno e quella da mettere nello scaldino per il letto d’inverno, tenuto dal monaco di legno. Attorno al camino ci si raccoglie d’inverno. Sulla spalletta notiamo il mortaio, la lucerna ad olio, la scatola gialla dei fiammiferi allo zolfo. Una corta tendina limita la fuoriuscita di fumo nelle giornate di vento. Serve a poco, specie se il tiraggio è difettoso: il fumo invade la cucina ne ingiallisce le pareti, irrita gli occhi. Se la cenere è stata spinta indietro, notiamo che il focolare è fatto di mattoni ben tenuti: per cuocere la pizza di granturco o di grano è necessario che non abbia crepe. Se il fuoco è acceso notiamo la pignata con i fagioli. Serviranno a condire la sera la pizz’ d’ rendinie ma la nonna sa che al piccolo nipote piace molto il pane bagnato con l’acqua dei fagioli e condito con olio e sale. Gli dirà di avere pazienza: i fagioli debbono cominciare ad essere cotti perché l’acqua di cottura insaporisca. Dall’alto del camino pende una grossa catena di ferro annerita dalla fuliggine che serve per appendere a cuttor’ di rame anch’essa nera di fuliggine all’esterno ma dentro brillante: la padrona di casa tiene alla pulizia e la strofina ogni tanto con la sabbia. Non ci sono ancora detersivi. Affianco notiamo appesi alla parete interna del camino alcuni treppiedi e una piccola fornacella di ferro che serve per preparare il sugo. C’ è un tegame con i piedini (u puznett’) e la coppa di ferro che stasera sarà messa sull’ impasto di granturco appoggiato sul focolare rovente e coperta di brace affinché la pizza cuocia uniformemente; non mancano nell’armamentario del camino a pelell’ o u sciuscefoc’ e a scuperell’ d’ muggh’idini’e per pulire il focolare. La cenere non verrà buttata via (quasi nulla si butta via in questa casa) e servirà per la biancheria quando si farà a culat’; servirà anche per abbrustolire i ceci e renderli morbidi. Vicino al camino c’ è un piccolo vecchio banco di legno fatto costruire dal falegname per i bambini e una sedia bassa riservata spesso al nonno. Se il padrone di casa è buon bevitore di vino, affianco al camino ha una piccola nicchia dove entra u butt’gliuncell’ da 2 litri e sulla spalletta del camino u v’cal’ du vin’. Al lato del camino vediamo la batteria dei tegami di rame ben lucidati appesi a strisce di legno infisse sul muro. Lungo una parete c’è la madia per il pane. E’ fatta di legno povero, col ripiano ribaltabile per scoprire la vasca dove si prepara il pane. Nella parte inferiore ci sono due sportelli più grandi dove si conservano i grandi panelli di pane e tra loro uno sportello più piccolo per riporre a cantr’llucc’ della salsiccia conservata nella sugna.
           In un’altra parete troviamo un alto ripostiglio ricavato dal muro, coperto da una tenda. Se proviamo a sollevarla notiamo sul ripiano ad altezza d’uomo la tina di rame dell’acqua alla quale è appeso u manier’ per attingere l’acqua e per bere. In basso, sul pavimento, poggia a serol’ della riserva d’acqua, fatta di creta grigia e coperta da un coperchio di legno. Non somigliano per forma e colore agli orci toscani (preziosi e costosi quelli dell’ Impruneta vicino Firenze), hanno un aspetto più umile. Comunque, a serol che usava mia madre nel dopoguerra non fa brutta figura nel mio giardino accanto a qualche orcio toscano. Affianco c’è a giarr’ oppure  u c’c’nat’ pure di terracotta grigia. La terracotta lascia evaporare l’acqua conservandola fresca. A casa non c’è ancora l’acqua corrente e bisogna andare alla fontana pubblica per rifornirsene. A volte bisogna fare la fila, qualche volta si finisce anche col litigare; perciò è meglio avere una piccola riserva. Bisogna anche dire che fatte alcune eccezioni non c’è nemmeno il gabinetto. Per i bisogni corporali c’è u p’scetur di ferro smaltato. Gli uomini si arrangiano nei campi. C’è anche un posto poco fuori del paese, u Ciarellitt’ deputato a questi bisogni. Ovviamente, riservato agli uomini. Oggi tutto questo ci sembra preistorico e segno di arretratezza ma non dobbiamo meravigliarci. Anzi, Bonefro si è affrancata da simili situazioni prima di altri paesi. Mi raccontavano negli anni 60 che in un paese non lontano ancora c’era un luogo simile al nostro ciarellitt’ dove era possibile vedere, la sera tardi, uomini in fila accovacciati discorrere tranquillamente. Del resto questi usi erano diffusi. Nella civile America il gabinetto era detto backhouse, cioè dietro casa, perché era una modesta costruzione fuori casa, una sorta di baracchina. E molti ricorderanno la battuta di Benigni in una trasmissione di Biagi. Raccontava il comico che quando il su’  babbo sentì che Berlusconi scendeva in campo se ne meravigliò molto: un uomo tanto ricco scendeva ancora in campo – come si diceva da loro per indicare quell’atto fisiologico-  per i suoi bisogni corporali? Dunque, anche in Toscana vigeva la stessa usanza.
           Torniamo a visitare la nostra ipotetica (ma non troppo) cucina bonefrana. Lungo l’ultima parete vediamo una fila di sedie di legno impagliate e un tavolo. Se la nostra visita avviene d’inverno verso i primi dell’anno, notiamo la pertica della salsiccia appesa ad asciugare. Tutte le case avevano molti ganci di ferro infissi sulla volta ( i ‘ngin’) per appendere alimenti da conservare. Da un gancio pende anche il cerchio di legno al quale sono attaccate le soppressate. Sotto i salumi freschi c’è il braciere. La brace è coperta dalla cenere perché il calore eccessivo farebbe rincuocere la salsiccia. Sono anche appesi una vescica di maiale piena di sugna, la ventresca e il lardo che è molto massiccio, indice di un maiale grande e grasso. Presto lardo ventresca e vescica saranno portate in basso nel v’ttar’ dove già  su assi di legno appesi al soffitto per evitare la concorrenza dei topi pendono due forme di formaggio comprato dai pastori bruzzesi  passati nel tratturo. Il lardo servirà tutto l’anno sia come condimento sia per preparare i cicul’ fritti che faranno da companatico da portare in campagna e mangiare col pane o con la pizza di granturco(mi raccontava un vecchio contadino: u cicul’ gli serviva solo per strofinarlo sulla pizza e darle sapore; la sera lo riportava a casa ai figli). Diamo anche uno sguardo al lampadario: un semplice piatto ondulato di vetro colorato appeso al filo elettrico ritorto e coperto da molti escrementi di mosche o dalla carta moschicida. Sotto la finestra che è sulla stessa parete del camino c’è un fascio di ceppe e qualche tacc’r’ . Se gettiamo un rapido sguardo dal vetro della finestra notiamo a crast’l  fissata a un piede di ferro: è piena di terra e contiene una pianta di garofano che d’estate fiorirà e profumerà; dalla parte opposta della finestra, in un’altra crast’l  sarà coltivata a vasen’col’, il basilico.  Infine, in un angolo della cucina c’è una stretta e alta angoliera chiusa in basso da due sportelli e in alto da una vetrina dalla quale si possono notare bicchieri, qualche bottiglia e qualche tazza. Nella scanalatura della cornice di legno della vetrina è stato fissato un santino di S. Antonio o S. Nicola.
            In questa casa i rifiuti sono pochi, quasi tutti vengono riutilizzati. I rari giornali servono per impacchettare, per accendere il fuoco; anche per fare le sigarette al posto delle cartine da comprare dal tabaccaio. Finanche le lattine possono servire: se sono grandi per farne contenitori per i fiori o le piante di uso in cucina, se piccole servono ai ragazzi per farne le eliche da far volare. Si imparava da piccoli a riciclare: i rocchetti vuoti di legno del filo diventavano  piccoli carrarmati con le ruote dentate e spinti da un elastico ritorto nel buco del rocchetto; un vecchio cerchione di bicicletta era addirittura un lusso per giocarci. Anche i noccioli di oliva riempivano le nostre tasche: servivano come punti quando si giovaca a voc e sticc che non erano altro che pietre ben scelte tra quelle che si trovavano per strada. Pochi mezzi, molta fantasia. Rimaneva poco da portare nei piccoli munn’zzar’
fuori dal paese.
          Abbiamo promesso di essere discreti e di non entrare in camera da letto o in qualche altra eventuale camera. Anzi sentiamo il rumore degli zoccoli dell’asino sul selciato sconnesso e la voce del padrone che sembra piuttosto stanco e nervoso. Sgomberiamo il campo.
 
          Naturalmente non esisteva una casa tipo e quella descritta era una delle tante. C’era chi aveva le rimesse ben divise dalla casa abitata e non comunicante con essa; chi, invece, aveva la stalla dietro la cucina che doveva attraversare con l’asino. Molti potevano disporre di locali adiacenti all’abitazione dove allevavano i polli e il maiale.
          Siamo usciti dalla casa ma ci torneremo per ricordare alcuni aspetti della vita di allora.

 

Nicola Picchione