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A cura di dott. Nicola Picchione
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I MEDICI DI BONEFRO

                        Tra le attività della Bonefro di una volta  che vorrei ricordare, quella di medico mi sollecita non solo perché è la mia e a Bonefro ho iniziato a praticarla ma anche per un rapido ricordo dei medici bonefrani del passato. Credo che l’evoluzione del mestiere di medico rispecchi bene l’evoluzione sociale. Non parlo dei progressi tecnici e scientifici ma del modo di fare il medico soprattutto in un paese: del rapporto medico-malato che allora era fondato sulla fiducia ma anche su un eccessivo atteggiamento paternalistico; dell’ idea che si aveva allora del medico; delle condizioni nelle quali il medico agiva. La figura del medico a Bonefro era importante ma il suo modo di vivere, pur in una relativa agiatezza, era simile a quello degli altri bonefrani: meno problemi economici ma medesimi modelli di vita sociale.
                       Il mestiere di medico è difficile e impegnativo ma  anche privilegiato: ti permette di avere un contatto intimo con le persone, di entrare- se ne sei capace- nel loro animo. Non raccogli solo le loro sofferenze fisiche ma le pene dell’animo, i problemi di casa. Anche quando si ammala un solo organo- il cuore, il fegato o altro- si ammala tutta la persona, anima e corpo. Ne risente tutta la famiglia.  Perciò se sai ascoltare- arte sempre più rara perché non siamo più padroni del nostro tempo ma il tempo è diventato nostro padrone- se sai dare fiducia se sai mantenere il segreto come il prete, finisci col visitare non solo il corpo di chi soffre ma anche la sua anima. Non importa chi hai davanti: può essere una persona famosa o avere grandi cariche oppure essere il più povero. Per te deve essere la medesima cosa. Nessuna differenza sostanziale. Non sei solo un meccanico ma il medico della persona. Devi saper ascoltare ma anche saper rispondere. Devi  tradurre il linguaggio medico in parole comprensibili affinché chi ti sta davanti possa decidere con te per la sua salute; devi usare le parole adatte anche nei momenti più difficili. Devi saper dosare ottimismo (che infonde fiducia) e prudenza senza mai dimenticare che adoperi un’ arma che nasce dalla scienza- la quale ambisce alla precisione- ma si mescola con l’indefinito e il soggettivo  dell’arte; un’ arma che qualcuno può illudersi d’essere precisa ma nella quale due e due non fa mai quattro. Non importa se hai solo 26 anni: sei il medico. Se ci riesci, la gente ti apre il cuore: si spoglia anche nell’animo e tu cerchi di aiutarla. Umilmente perché senza umiltà non sarai mai un buon medico: dalla conoscenza nasce il tuo agire ma dall’umiltà nasce la tua prudenza. Devi sapere che puoi sbagliare, che non puoi prevedere come quella persona risponde alle cure. Quando qualcuno mi diceva a Bonefro di un medico che appena c’era una nuova medicina la prescriveva, rispondevo che preferivo,invece, fare come con le nuove auto: farle provare agli altri, prima. A Bonefro e negli altri paesi, in quei tempi lontani il medico non possedeva molti strumenti e doveva affidarsi alla sua cultura, alla sua esperienza, al buonsenso che è soprattutto senso della misura, alle sue mani, occhi, orecchie, cervello. Un poco anche alla fortuna. Per fare bene il medico sono necessarie preparazione e disponibilità di tempo: se hai fretta non puoi fare bene il medico. Tempo soprattutto di ascoltare. La gente viene per parlare delle sue sofferenze, delle sue paure. Se hai fretta, non riesci ad ascoltarle e a tirare fuori ciò che hanno dentro, spesso difficile da esprimere. Quei medici sapevano non avere fretta.
           Bonefro ha avuto in passato molti medici. Quasi tutti hanno iniziato ad esercitare a Bonefro ma poi quasi tutti, come un destino inevitabile e beffardo, sono andati via spinti da motivazioni diverse. Strano destino dei medici bonefrani che nel proprio paese hanno iniziato la loro attività e poi sono andati via per motivi diversi: Peppe Eremita si trasferì a Casacalenda e furono molti i bonefrani che per anni facevano quel breve viaggio per affidarsi a lui. Lo fecero sino alla fine: a volte i miei pazienti mi portavano le ricette di don Peppe: io non me ne offendevo, capivo che la fiducia la conquistavi un po’ per volta; Celestino Giannotti si trasferì ad Ancona, Nicola Antonico in Emilia, Michele De Curtis a Rocca di Papa vicino Roma. Tutti medici che, mi risulta, ebbero molto successo e grande stima dove praticarono il loro mestiere. Perché non portarono nella loro borsa soltanto la preparazione professionale ma quelle caratteristiche umane alle quali accennavo e che a Bonefro si erano sviluppate. Bonefro, inoltre, li aveva abituati a un lavoro duro, a dovere e sapere fare un po’ di tutto. Bonefro era, allora, una dura palestra per i medici. Qualche volta ho accompagnato, quando studiavo, don Michele da Rocca di Papa a Frascati ove era chiamato perché faceva cose che gli altri non osavano fare. La sua magnifica casa con splendido panorama su Roma ospitava artisti e personaggi vari. Tra i suoi clienti, una coppia di attori famosi il cui figlio, allora ragazzo che faceva ancora la pipì a letto, diventò poi famoso attore di cinema e TV.
      Anche noialtri venuti dopo di loro subimmo lo stesso destino. Non parlerò dei singoli medici, non ne sarei capace e non ne ho voglia. Del resto, non li ho conosciuti tutti a fondo. So che Nicola Antonico era uomo di profonda cultura e di notevole impegno politico. E’ comune trovare medici di cultura: la storia è piena di medici scrittori di alto livello, dall’ evangelista Luca a Cechov ( che affermava: la Medicina è la mia sposa ma il vero amore è la Letteratura) a Celine, Cronin, Conan Doyle (l’autore di Shelock Holmes) , Carlo Levi e a tanti altri. Forse la vicinanza con le sofferenze e le debolezze dell’uomo rende il medico più sensibile. Dicevo che eviterò di parlare dei vari medici bonefrani del passato e che ho conosciuto bene soltanto due di loro – don Peppe e don Michele- molto diversi ma entrambi di grande valore e grande umanità.  Don Peppe  fu protagonista con don Celestino di una accanita lotta e di una causa civile per contendersi il posto di medico condotto; lotta che coinvolse la popolazione la quale si schierò per l’uno o per l’altro senza conoscere gli elementi effettivi della lite ma solo su base emotiva e, credo di poter dire, sulle convinzioni politiche: i democristiani con don Peppe, i comunisti con don Celestino. In quei tempi la passione politica era viva e aveva diviso il paese in due fazioni anche se la maggioranza era di sinistra. Quella lotta tra i due e le conseguenti discussioni tra i bonefrani oggi suscitano  un sorriso ma indicano la passione con la quale si affrontava ogni aspetto della vita bonefrana. Non entro nel merito di quella disputa finita poi in tribunale- pur essendo venuto successivamente a conoscenza dei fatti reali- e che finì con allontanarsi entrambi da Bonefro ma vorrei ricordare la figura di don Peppe Eremita che ho conosciuto meglio non solo per averlo frequentato maggiormente ma perché credo sia stato il medico più popolare di Bonefro. Lo ricordo minuto nella persona, sorridente, con la sua borsetta sotto il braccio, il viso magro, la bocca volitiva e il cerchio dorato, leggero degli occhiali. Pochi come lui sapevano incoraggiare curando. Riusciva ad associare la conoscenza medica con la difficile arte di capire la gente e farsi capire. Quando andavo a trovarlo, nella sua bella casa di Casacalenda, mi parlava del suo passato e si commuoveva. Raccontava di quando doveva curare tutta una famiglia in cambio dello staglio di un mezzetto di grano l’anno, poco più di 20 chili. Non che dopo, ai miei tempi, la paga fosse tanto maggiore: per i coltivatori diretti era di 1050 lire l’anno a persona, qualcosa come una quindicina di euro di oggi con i quali dovevo curare uno tutto l’anno. Correvano i medici di Bonefro. E facevano di tutto. Anch’io dovevo fare di tutto: curare dall’infarto all’ictus, dalla maltese alla tbc; tagliare, cucire, ridurre fratture, estrarre denti. E far nascere i bambini che non volevano nascere (solo allora ti chiamava l’ostetrica); rimediare aborti procurati: non riuscii a convincere le donne ad andare in ospedale. Sino ai miei tempi l’ospedale era detestato (non ne mancavano la ragioni, allora). Del resto, la gente era persuasa che se eri medico dovevi saper fare tutto. Dovevi essere sempre disponibile, con l’ ambulatorio aperto mattina e pomeriggio sino a tardi. Qualcuno ne approfittava troppo ma erano pochi. I rapporti erano buoni, spesso di grande amicizia. Dopo ho lavorato in ospedale. Massimo rispetto con le persone – ovviamente con tutti, da personaggi importanti a immigrati clandestini: tutti eguali davanti a me- ma non ho mai più avuto quel rapporto stretto, quel legame umano che ebbi con la gente di Bonefro con la quale parlavo la mia lingua nativa, con la quale potevo anche litigare ma che mi era attaccata nell’anima. E quell’esperienza di dover fare di tutto mi fu preziosa per non limitarmi a considerarmi solo specialista ma medico di tutta la persona. Imparai presto a Bonefro che bisognava stare dalla parte della gente e diffidare di chi comanda. Ricordo la raccomandazione del medico capo della mutua, a Larino, quando iniziai: mi disse di dare poche medicine ( noi del Sud- aggiunse- siamo un peso. Ero un ragazzo e non gli risposi; oggi lo avrei trattato male) ma poi mi consigliò di ricoverare in ospedale la gente senza aspettare troppo. Non capivo, mi sembrava una contraddizione tra l’invito al risparmio e quello di ricorrere con facilità all’ ospedale. Ero un ragazzo ancora ingenuo. Seppi poi che il cognato dirigeva l’ospedale ed era pagato a percentuale dei ricoveri.
            Ha detto uno studioso che un tempo la Medicina era meno rischiosa ma anche meno efficace. Aveva poche armi per la diagnosi e soprattutto per la terapia. Eppure il medico aveva un ruolo sociale molto più significativo di oggi. Molte ne sono le ragioni ma tra esse domina la distanza che si è venuta a creare tra medico e malato. Il medico non ha più il tempo di ascoltare molto il malato; affida forse troppo agli apparecchi che si sono messi tra loro due quasi a separali.
            Il medico, il farmacista ed anche il prete di oggi sono dunque diversi: più professionali  ma anche più burocrati con i loro orari precisi come uffici ( io mancavo una domenica al mese, andavo a Roma dove ero fidanzato. Il lunedì successivo erano rimproveri: ieri sono venuto e non ti ho trovato. Avevano ragione loro: non se la sentivano di andare dal medico che avevano lasciato per me).
            Passano le cose del mondo. Tutto è vanità. Quei medici quasi più nessuno li ricorda. Erano artigiani della Medicina, umili e nobili insieme, bonefrani con i loro pregi e i loro difetti. Non avevano molte armi per combattere le malattie ma erano vicini alla gente, pronti ad accorrere e fare tutto quello che potevano.
          Quando vado al cimitero a Bonefro passo a salutare don Peppe che dalla foto guarda sorridente con la sua borsetta come se fosse ancora pronto a percorrere le antiche strade del nostro paese. Ripenso a quei tempi ormai lontani quando giravo il paese con la Vespa o, d’inverno, dovevo ricorrere al bastone con la punta chiodata se la notte ghiacciava e il giorno se arrivavo per una visita sulla fiera mentre nevicava ricevevo un bicchierino di liquore per scaldarmi.
          La Medicina ha fatto grandi progressi, la Sanità è ormai fondata sul principio che prevenzione e cure sono un diritto di tutti: principio sacrosanto che tuttavia ancora vede differenze  notevoli tra le varie parti del nostro Paese con carenze e sprechi che spesso convivono; principio di grande civiltà ma che si può realizzare solo se ognuno – ogni medico, ogni malato e ogni familiare-  sa rispettare diritti e doveri usando facendo buon uso dei Servizi pubblici  che non sempre sono ben     gestiti.
         Quei medici conoscevano il loro popolo, i difetti e i pregi,  parlavano la loro stessa lingua. Gli anziani li ricordano. Per i giovani non sono nemmeno un ricordo. E’ normale. Tutto è vanità, soprattutto chi ha scelto di curare il corpo: il più effimero e fragile oggetto di questo mondo. Il medico può vincere qualche battaglia ma inevitabilmente è condannato a perdere la guerra. Anche nell’ ultima battaglia, però, quella che lo vedrà sconfitto, il suo ruolo è importante affinché contribuisca a rendere la fine dignitosa e senza dolore.

Nicola Picchione

(maggio 2009)