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Presentazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Il museo etnografico di Bonefro e' in corso di allestimento nei locali del recentemente ristrutturato ex convento di S. Maria delle Grazie, inagurato nel 1716 e chiuso nel 1909,  con la legge della soppressione degli ordini monastici possidenti. In ricordo della sua origine, e' stato ricostruito il sobrio arredo francescano nell'ambiente dell'unica cella sopravvissuta.

   Dal 1817 fino a pochi anni fa l'edificio fu adibito a uso civile, con la gentarmeria, la pretura, il carcere e la scuola pubblica. La piu' significativa testimonianza di questo periodo e' la conservazione di un'aula, con tutto il suo arredamento e il relativo materiale didattico. Annessa e' l'esposizione di alcune decine di giocattoli, sia di quelli comprati nei mercati e nei negozi, prima dell'avvento degli oggetti di plastica.

   Il museo e' caratterizzato dalla rappresentazione di tutti gli aspetti della vita popolare del paese. In due vani sono ricostruite le ambientazioni della cucina, con la sua attrezzatura, e della camera da letto, con gli oggetti riguardanti la cura dei bambini.

   Nel vasto locale dell'ex refettorio si trova il cuore del museo, con la presenrazione degli attrezzi di quella che e' stata ed e' la principale attivita' del paese: l'agricoltura. Strettamente collegato, sia fisicamente che logicamente, si trova quello ch'era l'ampio luogo della preghiera in comune dei frati, con i raggruppamenti tematici delle lavorazioni specificamente connesse all'agropastorizia, vale a dire i cicli della farina e della pasta, del latte e del formaggio, della carne e dei suoi derivati, della salsa di pomodoro, del vino e dell'olio.

   Un'apposita stanza e' riservata ai tradizionali lavori femminili, quali la filatura della lana, la confezione di maglie e di calze, il ricamo, il taglio e il cucito. Un panorama pressoche' completo dei lavori artigianali caratteristici del paese e' offerto dall'esposizione in piu' stanze dell'attrezzistica del falegname, del sarto, del calzolaio, del barbiere,, del fabbro, del maniscalco, del bastaio, dello stagnino, del ramaio.

   La rassegna museale e' completata da rustici strumenti musicali e da altri oggetti allo svago e al divertimento.

   Si presentano qui tre importanti sezioni del museo, con una selezione di attrezzi scelti in base al loro utilizzo piu' antico: il ciclo del grano, dell'olio, del vino.

   Nella parte dedicata al frumento, si puo' seguire l'itinerario che va dall'aratura alla semina del grano, dalla mietitura alla trebbiatura, dal trasporto a casa alla sua misurazione e conservazione, fino all'uso in cucina della farina.

   L'arcaicaicita' dell'aratro chiodo ('u retin) e' comprovata dalle sue parti che riecheggiano nomi derivati dal latino: 'a 'ure (<lat.buris), 'u d'ndale (<lat.dentale), 'u vigne (<lat.vinculum o vinclum), 'a menecchie (< lat.manicula). La trebbiatura veniva eseguita mediante il traino della prete d'a p'setur (pezzo di pietra di tufo scanalata) o della remere pe' ttr'sca' (lamiera dai fori rilevati, attaccata a un pesante pezzodi quercia), da parte degli equini che giravano in tondo sulle spighe sparse a mucchi sull'aia. Le spigolatrici facevano invece un lavoro meno pesante, ma molto piu' ingrato. La sera prendevano il mazzo delle spighe raccolte nei campi ('u matt'le) e lo sfregavano sulla tavola per trebbiare ('a str'culetore; anticamente, lat. tribula o tribulum) La piccola quantita' di grano cosi ricavata veniva sfarinata mediante un piccolo mulino a mano ( 'a mac'nelle).

 

   Il paese alle origini (sec.X) era denominato Binifro  (<lat.venifer, " che produce vino "), con il significato di "terra del vino ": non poteva quindi mancare una parte consistente dedicata alla vite e al vino. Qui si parlera' di due antichi e caretteristici strumenti di legno. Le uve venivano pigiate nella navazza ( 'a v'nerole), una cassa bucherellata, da cui sgorgava il mosto, munita di una bocchetta con chiusino, da cui fuoriuscivano le vinacce; ai quattro lati erano fissate le aste verticali, alle quali si appoggiava il lavoratore per essere agevolato nei suoi movimenti. Il vino ottenuto veniva versato nelle botti mediante la pevera ('av'tr'jole).

   I proprietari che avevano grosse quantita' di oliva si servivano del trappeto  ('u treppite<lat.trapetus (Catone, Virgilio, Plinio il Vecchio) <greco trapeo, pigio l'uva; cfr. spagn. trapiche e port. trapiche), manovrato con la forza di un asino. Il congegno consisteva "in una fabbrica circolare coverta di lastre di pietra inclinate verso il centro dove si ha la busola, formata da un cerchio, posta in piano, sulla quale gira la ruota di pietra che frantuma e rende in pasta le olive". La descrizione, del 1910, riguarda il trappeto dei Santoianni, documentato gia' nel 1820 e tuttora conservato in via Solitaria.

   Quelli che invece raccoglievano le olive solo per uso familiare producevano l'oglie e ppede (trappedo alla genovese: Raffaele Pepe, 1815). La tecnica consisteva nel mettere una quantita' di olive ('a 'nboste ). equivalente a circa 23-24 kg ('nu m'zzette), in un sacco di " lana tunisina" [R.Pepe] ('a cil'me) il quale veniva poi posto nell'apposito trigolone ('u trocche de ll'oglie). L'uomo addetto alla frangitura si attaccava a un pezzo di corda appesa al soffitto e con i piede, procedendo avanti e indietro, schiacciava le olive, mentre su di esse da un aiutante veniva continuamente versata dell'acqua calda, per farne sciogliere la polpa. Il liquido cosi ottenuto veniva messo a riposare in un apposito tino ('a veril): l'olio galleggiante in superficie veniva attinto per mezzo di un recipiente di stagno ( ' a cherrafe ), mentre l'acqua veniva fatta uscire in basso attraverso una cannella e raccolta mediante una secchia ( 'a secchie ). La frangitura veniva fatta preferibilmente di notte, fino al massimo di sei tornate. Questa tecnica arcaica fu praticata clendestinamente fino a qualche decennio fa, durante il periodo della seconda guerra mondiale e oltre.

   L'olio  veniva misurato mediante uno staio ( 'u stare ), della capacita' di 7 litri e mezzo e in quinto (circa 10 caraffe).

   Vale la pena soffermarsi su un'altra sezione del museo, dedicata agli attrezzi che gli emigranti hanno riportato con se', al loro ritorno in paese. 

   Negli Stati Uniti nei primi tempi emigravano operai che si dedicavano al lavori piu' pesanti, detti  significativamente di picche e ppale......Gli "americani" quasi sempre lavoravano molto duramente, tuttavia talvolta potevano far vedere la loro nuova situazione economica, con l'acquisto di qualche oggetto voluttuario che riportavano al paese.

 

                                                          dott. Michele Colabella

                                                                 storico di Bonefro