A CURA DI NICOLA PICCHIONE  
line decor
  TORNA ALL'INDICE   ::  
line decor
   
 
PICCOLA CRONACA. La tassa

 

     Credo che riferire alcuni fatti del passato serva meglio di tante descrizioni e analisi per capire le condizioni sociali di una volta. Perciò proverò a riferire ogni tanto piccole cronache. I  fatti che riferirò sono, ovviamente, reali  ma per motivi di riservatezza (benché le persone reali credo che non siano più vive) cambierò i nomi e farò ogni sforzo per rendere i protagonisti non riconoscibili. Così come quando tento di descrivere le condizioni socioeconomiche va tenuto presente che non sono un esperto, allo stesso modo queste cronache sono solo delle annotazioni senza pretesa di veri racconti.

 

              Un giorno d’estate trovai solo due uomini vicino alla vasca, in piazza. Un vecchio era seduto sulla panchina rotonda di ferro. Magro, con un cappelluccio scuro e vecchio calcato sulla fronte, il viso scarnito solcato da venuzze; aveva una giacca malgrado il caldo e una camicia forse bianca che tendeva in avanti, ripiegati, i pizzi del colletto. Di fronte a lui uno più giovane in camicia, robusto. Erano miei clienti, ci conoscevamo. Mi sedetti vicino a loro. Era tempo di lavoro nei campi, poco dopo mezzogiorno e in piazza c’era poca gente. Eravamo solo noi tre attorno alla vasca. Un paio di  altri gruppetti era lontano da noi. I due discutevano di campagna e di raccolto. Il vecchio cominciò a parlare di quando lavorava nelle Puglie. Ebbe la brutta di idea di dire : “Tu non puoi ricordare…”. Fu interrotto dall’ altro che chiamerò giovane ma che aveva superato i quarant’anni: “ Io mi ricordo e c’è un fatto che non dimenticherò finché campo e tu ne sei il protagonista”. Il vecchio chiese incuriosito a quale fatto tanto straordinario si riferisse. Il giovane raccontò.
 
            “Avevo una decina d’anni. Andai con mia madre nella campagna della  Puglia per rimanervi alcuni giorni. Voi avevate là la masseria”
            “Non era nostra, magari”.
            “Un giorno tua moglie entrò da noi allarmata. Disse a mamma che il figlio di pochi mesi aveva la febbre alta e mandò me a chiamarti perché lo riportassi in paese per curarlo. Non ricordo come si chiamava il bambino”
            “ Tonino, come mio fratello”
            “ Comunque io lo avevo visto varie volte e qualche giorno prima lo avevo anche cullato. Mi guardava con i suoi occhi grandi e chiari e mi sorrise. Mi avviai. Ti vedevo piccolo e lontano sulla linea dell’orizzonte. Affrettavo il passo tra le stoppie anche se mi graffiavano le gambe. Tua moglie mi era sembrata molto preoccupata. Avevo l’impressione di non arrivare mai e tu mi sembravi sempre più lontano. C’ era un profondo silenzio che mi opprimeva interrotto solo dal frinire delle cicale, da qualche improvviso volo di un eccello che spaventato dai miei passi si alzava in volo verso un cielo senza una nuvola. Fruscii  mi facevano trasalire, forse di  lucertole che a me sembravano di serpi. Quando ti portai l’ambasciata, tu rispondesti: “Dille che debbo finire e poi torno”.  Mi rispondesti seccamente senza nemmeno smettere di lavorare come se a comandare non fossi tu ma il mulo che tirava l’aratro e anche te. Ricordo che mi meravigliai della risposta. Mi aspettavo di vederti tornare con me.  Riferii la tua risposta e tua moglie mi sembrò ancora più preoccupata. Non aprì bocca. Passò un’ora e lei tornò da noi. Disse che il bambino era peggiorato, aveva la febbre alta. Mi mandò di nuovo da te e ripetette più volte di  insistere perché tu venissi per portare il bambino in paese. Attraversai di nuovo i campi. Ti vedevo come un puntino dietro il mulo. Ripetei l’ambasciata. Tu bestemmiasti la madonna fermando l’aratro. Quasi urlasti: “ Le donne non fanno che piangere e vedere guai”.  Confermasti la decisione di finire il lavoro e poi tornare. Quando finalmente ti vidi tornare, verso sera, il bambino era morto. Tua moglie si disperava piangendo ma tu le comandasti di smettere di urlare e piangere con un tono così perentorio che lei smise. Forse sapeva che ai tuoi ordini bisognava solo ubbidire, l’avevi domata bene. Quello che accadde dopo non lo ricordo con precisione ma una scena non me la dimenticherò mai. Caricasti la bisaccia sul mulo mettendoci dentro un fagotto coperto da un panno. Lei ti disse: “Fammelo portare in braccio”. Tu con parole secche le ordinasti di montare sul mulo. Lei singhiozzava in silenzio. Partiste. Sentii da mia madre che avevi messo il bambino morto nella bisaccia. Quel fagotto messo nella bisaccia era Tonino. Ricordo che provai un brivido. Ancora lo provo nel raccontarti tutto questo. Quella notte tardai ad addormentarmi. Sognai il bambino che mi guardava con i suoi grandi occhi chiari immersi in un grande buio; non vedevo il suo volto né il suo corpicino ma solo due manine protratte nel buio come a volerlo dissolvere. Da allora ti vidi sempre come un duro, senza cuore, senza umanità. So che sei una persona onesta e sei stato un gran lavoratore ma questo non basta per fare un uomo.  Anche se sono passati molti anni non dimenticherò mai quel giorno e ho voluto ricordartelo per togliermi un peso dallo stomaco”.
Il giovane aveva parlato senza pause e con voce forte senza distogliere gli occhi dal vecchio e quasi dimenticando la mia presenza o forse ritenendo che il medico è tenuto al segreto. Mi guardò e puntando il dito verso di lui mi chiese come sperando in un mio commento: “Hai capito che razza di tipo è questo?”.
Il vecchio lo aveva ascoltato senza guardarlo. Alzò un po’ il suo vecchio cappello e lo fissò in viso con occhi che mi parvero piccoli. Erano chiari. Come quelli di Tonino, mi venne in mente. Sembrò pensare per un poco poi disse:
“ Ricordo bene tutto. E’ proprio come lo hai raccontato. Tu eri un ragazzo e capisco la tua impressione. A volte i grandi si comportano come se i piccoli non fossero presenti a ciò che essi dicono e fanno, sicuri che non ne debbono rendere conto a loro. E’ un grosso errore. I piccoli vedono, sentono e capiscono. Soprattutto, ricordano.  Non possono sapere tutto, però. Voglio aggiungere qualcosa al tuo racconto. Ora sei grande e può darsi che mi capirai anche se non ne sono certo. Oggi non si può capire come era il bisogno a quei tempi. Pancia piena non crede al digiuno, come si dice”
Si fermò per un po’ poi riprese:
 “ E’ vero, sottovalutai l’avvertimento di mia moglie. Allora le febbri erano frequenti e se ci si fermava ogni volta il lavoro non andava avanti. Avevo comprato un po’ di terra mettendo debiti e sperando nel raccolto ma da due anni non riuscivo a mettere da parte nemmeno il grano per mangiare e per la semente. Ero assillato dal debito e dal bisogno. Quando tornai alla masseria,  lei si disperava e urlava. Allora i morti si piangevano con urla che spesso erano solo di facciata ma quella volta venivano dal cuore. La morte di un figlio ti strappa il cuore e le viscere. Come puoi pensare che la morte di un figlio non dia dolore anche al padre? Per riportare il bambino morto a Bonefro     ( si interruppe un attimo quando pronunciò “ u cit’l’ “ forse incerto se usare il nome del bambino), dovevamo attraversare il Comune di S. Croce e bisognava pagare una tassa. I morti pagavano una tassa per attraversare un Comune. Io non avevo quei soldi. Per questo imposi a mia moglie di non urlare. Nessuno doveva sapere della disgrazia. Dovevamo riportare il bambino di nascosto. Quel ritorno fu  doloroso e  sembrò lungo. Quando entrammo a casa, a Bonefro, misi il bambino sul letto con grande delicatezza quasi a farmi perdonare per quella brutalità forzata. Aprii il panno col quale lo avevo avvolto. Gli diedi una carezza. Guardai mia moglie. Non sapevo che dirle, non avevo nemmeno il coraggio di giustificarmi. Le dissi soltanto: “Ora piangi quanto vuoi”.
    Rimanemmo tutti e tre in silenzio. Il vecchio aggiunse:
“ Ti assicuro che non sono stato né un cattivo marito né un cattivo padre. Abbiamo avuto altri quattro figli e ho mandato avanti la famiglia meglio che potevo. Erano tempi brutti”.
Si fermò per un pò e aggiunse:
“ Allora i sentimenti erano un lusso”.

 

Nicola Picchione                                                                      Gennaio 2009